La Discesa
Tutto ebbe inizio il giorno del mio ventunesimo compleanno.
Come ogni anno, genitori e parenti, mi avevano dato i soldi come regalo. C’è chi penserà sia una fortuna, io no. Mi fa sentire come se nessuno sapesse cosa desidero. L’unico da cui non ricevevo dei contanti era mio nonno Martyn. Fin da quando avevo imparato a leggere, ad ogni compleanno lui mi aveva scritto un breve racconto dell’orrore. Tutti scritti da lui. Fin dal primo rimasi colpito da ciò che descriveva. Era tutto così reale che sembrava che lui avesse davvero incontrato quelle creature così mostruose che l’inferno stesso aveva ripudiato. Quei racconti mi prendevano sempre di più, la mia immaginazione viaggiava all’interno di quegli incubi mortali eccitata ed estasiata. Poi quando avevo dodici anni, nonno Martyn, morì. Era malato e non ci fu nulla da fare. Per tutti fu un duro colpo soprattutto per me. Con la sua fine terminarono anche i racconti. Almeno fino al mio ventunesimo compleanno.
Il sole era alto nel cielo limpido. Faceva un freddo porco. Ottobre sembrava essere di fretta.
Sdraiato nel mio letto, sotto le coperte, ascoltavo la musica dal mio lettore mp3. In quel momento Corey Tailor stava introducendo Duality. Mia mamma entro nella stanza e mi toccò una spalla. Sobbalzai non avendola vista entrare. Tolsi gli auricolari dalle orecchie chiedendogli se avesse bisogno.
C’è una visita per te, mi informo in tono calmo. Non ricordo di averla mai sentita alzare la voce in tutta la mia vita.
Mi alzai dal letto e raggiunsi l’ospite in soggiorno.
Era un uomo sulla sessantina dall’aspetto ben curato. Indossava un completo elegante di colore blu. Nella mano sinistra reggeva una ventiquattrore cromata. Appena mi vide allungò verso di me la mano libera. Gliela strinsi. La sua presa era salda e forte. Si presentò come Richard Lancaster. Disse di essere un notaio, ma che prima di ogni cosa era stato un grande amico di mio nonno. Posò la ventiquattrore sul tavolino di vetro del soggiorno, dopo aver educatamente chiesto il permesso, e la aprì. L’interno di velluto rosso, sembrava quello di una bara, ed era occupato esclusivamente da una busta. L’aprì. Conteneva una lettera che iniziò a leggermi. Il tono della voce era vampiresco. Scandiva le parole alla perfezione procendendo senza mai modificare il timbro di voce o il ritmo di lettura. Una macchina con voce umana, pensai. Non sto a dirvi tutto il contenuto di quella lettera, non c’è ne alcun bisogno. Per farla breve, nonno Martyn aveva deciso che al compimento dei miei ventun anni la sua vecchia casa sarebbe diventata mia.
Ammetto che in quel momento fui molto sorpreso. Erano passati nove anni dall’ultima volta che ero stato in quella piccola casa indipendente e non riuscivo a immaginarla in nessun altro modo se non decadente. Come se percepisse i miei pensieri il notaio mi informò che l’umile dimora (usò proprio queste parole, il che mi fece pensare sempre di più a un vampiro) era stata tenuta in ottime condizioni ed era già pronta per essere abitata. Non vi mentirò dicendo di non aver provato paura in quel momento. Tutto mi sembrava così strano. Erano anni che desideravo trovarmi un posto dove vivere da solo e finalmente l’avevo trovato (o meglio, mi era stato regalato) eppure ne fui spaventato. Perchè nonno Martyn non me ne aveva mai parlato? Conclusi che probabilmente prima della sua morte ero troppo piccolo perchè lui potesse farlo. Il notaio mi prese un altro foglio dalla ventiquattrore. Riconobbi la calligrafia di mio nonno, quel suo modo antico di scrivere. Le linee non erano più perfette come nei primi racconti, probabilmente era stata scritta quando la malattia era già ad uno stadio evoluto. Il foglio era quasi del tutto bianco, eccezione per poche semplici parole. Accetta il mio regalo, piccolo mio. Non avere paura, ti voglio bene.
Non avere paura... Quelle parole scosserò la mia anima e la mia mente iniziò a formulare centinaia di ipotesi una più strana e fantasiosa dell’altra. Il notaio aveva aspettato a mostrarmi quel foglio per sfruttare la mia fragilità? E soprattutto: la valigetta non era vuota dopo che aveva estratto la busta?
Nonostante tutto quel ti voglio bene avvolse il mio cuore come un panno caldo, strappandomi anche qualche lacrima. Mi consultai con mia mamma. Lei disse che non ci sarebbero stati problemi se era quello che volevo. Volevo, che parola grossa.
Alla fine accettai.
Dire che volevo farlo sarebbe un eufemismo, però sentivo che dovevo farlo. Sarebbe stato l’unico modo per poter capirne di più.
Raggiunsi la nuova casa il giorno stesso. Il notaio avevo detto il vero, era in condizioni perfette. Nulla era stato cambiato. Il dondolo in veranda, il piccolo canestro fatto col fil di ferro sulla parete della cascina, persino la cuccia del buon vecchio Barney era ancora lì. Pace all’anima sua.
Raggiunta lo soglia di casa il notaio mi porse la chiavi e se ne andò. Entrai. Diedi una rapida occhiata ad ogni stanza ed anche lì era tutto come nove anni prima. Tranne una cosa. Sul letto della stanza in cui dormivo io, quando mi fermavo per qualche giorno a casa del nonno, c’era una busta. Un’altra, pensai.
La raccolsi e la aprii. C’era una lettera e una chiave minuscola. La lettera diceva: Caro Blake, ricordi dove hai seppellito il tuo forziere con dentro i soldatini che ti avevo regalato, vero? Sono sicuro che non puoi averlo dimenticato. Aprilo.
Con affetto Nonno Martyn.
Ricordavo il posto. Presi una pala e feci come aveva detto il nonno. Dopo qualche minuto il ferro dell’attrezzo picchio con un rumore sordo su quello del forziere. Tolsi il resto della terra con le mani, riportando la cassa alla luce. Presi la chiave e feci scattare il lucchetto. Sollevai il coperchio con molta attenzione. All’interno c’era ancora tutta la mia vecchia collezione di soldatini. Li tolsi tutti e sotto c’era una nuova busta. L’aprii. Nuova lettera e nuova chiave. Lessi.
Caro Blake, scusa per averti fatto fare tutta questa trafila ma dovevo essere sicuro che solo tu potessi trovare questa lettera e questa chiave. Ricordi i miei racconti vero? Sono sicuro di sì. Ne eri sempre affascinato. Ricordo che un giorno mi avevi chiesto se i mostri delle mie storie fossero reali. Io ti dissi di no, mentivo. Perdonami, ma allora eri troppo piccolo. La verità è che sono reali. Puoi raggiungerli se vuoi. Raggiungere un mondo nuovo fuori da ogni logica. Un mondo di paura. Se sei come me ti interesserà. In cantina troverai un vecchio armadio, spostalo e dietro ci sarà un piccola porta. Questa è la chiave per la cantina. La chiave per la porta la troverai dentro la quattordicesima bottiglia di vino a partire da destra, sul decimo ripiano. 14/10 proprio come il tuo compleanno. Dietro quella porta ci sarà una lunga scalinata illuminata da una flebile luce rossa. Percorrila e raggiungerai la Torre Degli Orrori. Se decidi di andarci stai attento. Ti voglio bene.
Strinsi la chiave nel palmo della mano per qualche istante poi feci come c’era scritto. Raggiunsi la porta della cantina. La chiave girò nella serratura senza il minimo sforzo e pochi istanti dopo la porta fu aperta. Scesi giù, trovai l’armadio e lo spostai. Ecco la porta che diceva il nonno. Era molto piccola dovevo pasarci a carponi. Cercai la quattordicesima bottiglia del decimo ripiano e ne estrassi la chiave. Mi fiondai ad aprire la porticina prima di avere dei ripensamenti. In qualche modo sentivo di dover andare a fondo. Infilai la chiave nella toppa. Dopo due giri la porta si aprì. A carponi passai dall’altra parte e notai che subito la stanza era ridiventata di un altezza normale. Mi rimisi in piedi. Il nonno aveva detto il vero. Una lunga scalinata procedeva verso il basso, illuminata a sprazzi da una flebile luce color cremisi. Le pareti sembravano dipinte col sangue. Un sospiro di aria gelida e odorante di zolfo invase il tunnel. Spilli ghiacciati sembrarono conficcarsi nella spina dorsale e per un istante pensai di essermi paralizzato. Ancora non era sceso eppure potevo percepire la malignità del luogo che attendeva di sotto. Trassi un respiro e iniziai la discesa. Forse fu solo la soggezione ma più di una volta mi parve di vedere serpenti di sangue strisciare lungo le pareti. Il tunnel era silenzioso e i miei passi risuonavano di un macabro rumore, come se stessi camminando su una scala fatta di ossa cave. Giunsi in fondo.
La Torre degli Orrori era davanti a me.
Come ogni anno, genitori e parenti, mi avevano dato i soldi come regalo. C’è chi penserà sia una fortuna, io no. Mi fa sentire come se nessuno sapesse cosa desidero. L’unico da cui non ricevevo dei contanti era mio nonno Martyn. Fin da quando avevo imparato a leggere, ad ogni compleanno lui mi aveva scritto un breve racconto dell’orrore. Tutti scritti da lui. Fin dal primo rimasi colpito da ciò che descriveva. Era tutto così reale che sembrava che lui avesse davvero incontrato quelle creature così mostruose che l’inferno stesso aveva ripudiato. Quei racconti mi prendevano sempre di più, la mia immaginazione viaggiava all’interno di quegli incubi mortali eccitata ed estasiata. Poi quando avevo dodici anni, nonno Martyn, morì. Era malato e non ci fu nulla da fare. Per tutti fu un duro colpo soprattutto per me. Con la sua fine terminarono anche i racconti. Almeno fino al mio ventunesimo compleanno.
Il sole era alto nel cielo limpido. Faceva un freddo porco. Ottobre sembrava essere di fretta.
Sdraiato nel mio letto, sotto le coperte, ascoltavo la musica dal mio lettore mp3. In quel momento Corey Tailor stava introducendo Duality. Mia mamma entro nella stanza e mi toccò una spalla. Sobbalzai non avendola vista entrare. Tolsi gli auricolari dalle orecchie chiedendogli se avesse bisogno.
C’è una visita per te, mi informo in tono calmo. Non ricordo di averla mai sentita alzare la voce in tutta la mia vita.
Mi alzai dal letto e raggiunsi l’ospite in soggiorno.
Era un uomo sulla sessantina dall’aspetto ben curato. Indossava un completo elegante di colore blu. Nella mano sinistra reggeva una ventiquattrore cromata. Appena mi vide allungò verso di me la mano libera. Gliela strinsi. La sua presa era salda e forte. Si presentò come Richard Lancaster. Disse di essere un notaio, ma che prima di ogni cosa era stato un grande amico di mio nonno. Posò la ventiquattrore sul tavolino di vetro del soggiorno, dopo aver educatamente chiesto il permesso, e la aprì. L’interno di velluto rosso, sembrava quello di una bara, ed era occupato esclusivamente da una busta. L’aprì. Conteneva una lettera che iniziò a leggermi. Il tono della voce era vampiresco. Scandiva le parole alla perfezione procendendo senza mai modificare il timbro di voce o il ritmo di lettura. Una macchina con voce umana, pensai. Non sto a dirvi tutto il contenuto di quella lettera, non c’è ne alcun bisogno. Per farla breve, nonno Martyn aveva deciso che al compimento dei miei ventun anni la sua vecchia casa sarebbe diventata mia.
Ammetto che in quel momento fui molto sorpreso. Erano passati nove anni dall’ultima volta che ero stato in quella piccola casa indipendente e non riuscivo a immaginarla in nessun altro modo se non decadente. Come se percepisse i miei pensieri il notaio mi informò che l’umile dimora (usò proprio queste parole, il che mi fece pensare sempre di più a un vampiro) era stata tenuta in ottime condizioni ed era già pronta per essere abitata. Non vi mentirò dicendo di non aver provato paura in quel momento. Tutto mi sembrava così strano. Erano anni che desideravo trovarmi un posto dove vivere da solo e finalmente l’avevo trovato (o meglio, mi era stato regalato) eppure ne fui spaventato. Perchè nonno Martyn non me ne aveva mai parlato? Conclusi che probabilmente prima della sua morte ero troppo piccolo perchè lui potesse farlo. Il notaio mi prese un altro foglio dalla ventiquattrore. Riconobbi la calligrafia di mio nonno, quel suo modo antico di scrivere. Le linee non erano più perfette come nei primi racconti, probabilmente era stata scritta quando la malattia era già ad uno stadio evoluto. Il foglio era quasi del tutto bianco, eccezione per poche semplici parole. Accetta il mio regalo, piccolo mio. Non avere paura, ti voglio bene.
Non avere paura... Quelle parole scosserò la mia anima e la mia mente iniziò a formulare centinaia di ipotesi una più strana e fantasiosa dell’altra. Il notaio aveva aspettato a mostrarmi quel foglio per sfruttare la mia fragilità? E soprattutto: la valigetta non era vuota dopo che aveva estratto la busta?
Nonostante tutto quel ti voglio bene avvolse il mio cuore come un panno caldo, strappandomi anche qualche lacrima. Mi consultai con mia mamma. Lei disse che non ci sarebbero stati problemi se era quello che volevo. Volevo, che parola grossa.
Alla fine accettai.
Dire che volevo farlo sarebbe un eufemismo, però sentivo che dovevo farlo. Sarebbe stato l’unico modo per poter capirne di più.
Raggiunsi la nuova casa il giorno stesso. Il notaio avevo detto il vero, era in condizioni perfette. Nulla era stato cambiato. Il dondolo in veranda, il piccolo canestro fatto col fil di ferro sulla parete della cascina, persino la cuccia del buon vecchio Barney era ancora lì. Pace all’anima sua.
Raggiunta lo soglia di casa il notaio mi porse la chiavi e se ne andò. Entrai. Diedi una rapida occhiata ad ogni stanza ed anche lì era tutto come nove anni prima. Tranne una cosa. Sul letto della stanza in cui dormivo io, quando mi fermavo per qualche giorno a casa del nonno, c’era una busta. Un’altra, pensai.
La raccolsi e la aprii. C’era una lettera e una chiave minuscola. La lettera diceva: Caro Blake, ricordi dove hai seppellito il tuo forziere con dentro i soldatini che ti avevo regalato, vero? Sono sicuro che non puoi averlo dimenticato. Aprilo.
Con affetto Nonno Martyn.
Ricordavo il posto. Presi una pala e feci come aveva detto il nonno. Dopo qualche minuto il ferro dell’attrezzo picchio con un rumore sordo su quello del forziere. Tolsi il resto della terra con le mani, riportando la cassa alla luce. Presi la chiave e feci scattare il lucchetto. Sollevai il coperchio con molta attenzione. All’interno c’era ancora tutta la mia vecchia collezione di soldatini. Li tolsi tutti e sotto c’era una nuova busta. L’aprii. Nuova lettera e nuova chiave. Lessi.
Caro Blake, scusa per averti fatto fare tutta questa trafila ma dovevo essere sicuro che solo tu potessi trovare questa lettera e questa chiave. Ricordi i miei racconti vero? Sono sicuro di sì. Ne eri sempre affascinato. Ricordo che un giorno mi avevi chiesto se i mostri delle mie storie fossero reali. Io ti dissi di no, mentivo. Perdonami, ma allora eri troppo piccolo. La verità è che sono reali. Puoi raggiungerli se vuoi. Raggiungere un mondo nuovo fuori da ogni logica. Un mondo di paura. Se sei come me ti interesserà. In cantina troverai un vecchio armadio, spostalo e dietro ci sarà un piccola porta. Questa è la chiave per la cantina. La chiave per la porta la troverai dentro la quattordicesima bottiglia di vino a partire da destra, sul decimo ripiano. 14/10 proprio come il tuo compleanno. Dietro quella porta ci sarà una lunga scalinata illuminata da una flebile luce rossa. Percorrila e raggiungerai la Torre Degli Orrori. Se decidi di andarci stai attento. Ti voglio bene.
Strinsi la chiave nel palmo della mano per qualche istante poi feci come c’era scritto. Raggiunsi la porta della cantina. La chiave girò nella serratura senza il minimo sforzo e pochi istanti dopo la porta fu aperta. Scesi giù, trovai l’armadio e lo spostai. Ecco la porta che diceva il nonno. Era molto piccola dovevo pasarci a carponi. Cercai la quattordicesima bottiglia del decimo ripiano e ne estrassi la chiave. Mi fiondai ad aprire la porticina prima di avere dei ripensamenti. In qualche modo sentivo di dover andare a fondo. Infilai la chiave nella toppa. Dopo due giri la porta si aprì. A carponi passai dall’altra parte e notai che subito la stanza era ridiventata di un altezza normale. Mi rimisi in piedi. Il nonno aveva detto il vero. Una lunga scalinata procedeva verso il basso, illuminata a sprazzi da una flebile luce color cremisi. Le pareti sembravano dipinte col sangue. Un sospiro di aria gelida e odorante di zolfo invase il tunnel. Spilli ghiacciati sembrarono conficcarsi nella spina dorsale e per un istante pensai di essermi paralizzato. Ancora non era sceso eppure potevo percepire la malignità del luogo che attendeva di sotto. Trassi un respiro e iniziai la discesa. Forse fu solo la soggezione ma più di una volta mi parve di vedere serpenti di sangue strisciare lungo le pareti. Il tunnel era silenzioso e i miei passi risuonavano di un macabro rumore, come se stessi camminando su una scala fatta di ossa cave. Giunsi in fondo.
La Torre degli Orrori era davanti a me.