La Vendetta
Nick Beaded osservava incredulo intorno a sé. Gli occhi
castani, illuminati dalla sensibilità di un bambino, schizzavano da una parte
all’altra della stanza, cercando qualcosa di familiare, qualcosa che l’avrebbe
aiutato a capire dove fosse finito.
Nulla.
Per spogliare la stanza di tutto sarebbe bastato togliere le due poltrone di pelle nera. Non c’era nient’altro. Due poltrone nere in mezzo al bianco più assoluto, come due ombre nella luce.
Il modo in cui si era ritrovato aveva dell’assurdo e la sua mente ancora faticava ad accettare la realtà per quello che era, nonostante avesse provato più e più a prendersi a schiaffi per svegliarsi, al punto che la guancia aveva assunto un colorito rossastro. Niente era servito a svegliarlo, perché non c’era nulla da cui svegliarsi. Quella era la realtà, pura e semplice, oscura e complice.
Nonostante l’ansia, lo spavento, l’incredulità, nonostante tutte le emozioni che in quel momento gironzolavano confuse nella sua mente, nonostante tutto era felice.
Felice di essere vivo. Sentiva l’aria fresca entrargli nelle narici, riempirgli i polmoni. Quell’aria che sarebbe svanita per sempre una volta morto. Felice di poter tornare a casa, riabbracciare sua madre e chiederle scusa per aver tentato di gettare via il dono che lei le aveva fatto. Le avrebbe spiegato tutto, spiegato che era omosessuale, che a scuola veniva tormentato e sicuramente lei avrebbe saputo cosa fare. Avrebbe potuto iscriverlo in una scuola diversa, o chiamare degli insegnanti privati. Chissà se avrebbe potuto permetterselo. Non ne era sicuro. Sapeva che i suoi genitori guadagnavano abbastanza per condurre una vita agiata, ma non aveva di quanto potesse costare un insegnate privato. Tuttavia ora non era importante. Quello che importava era tornare a casa. Come poteva farlo? Non lo sapeva. Era in una stanza spoglia, situata chissà dove nel mondo. Solo in quel momento, pensando a come uscire da quel posto sconosciuto, la sua mente tornò su un dettaglio che gli occhi avevano notato al primo sguardo. Non c’era una porta in quella stanza. E nemmeno una finestra. Uscire da lì sarebbe stato impossibile.
Proprio in quel momento, mentre si guardava intorno nel tentativo di cercare una porta nascosta o qualsiasi altra via di fuga, una mano gli si posò sulla spalla. Nick schizzò in avanti, sfuggendo alla mano e si voltò. Il cuore gli era salito in gola prima che potesse accorgersene.
Richard osservò il ragazzo con un sorriso deliziato, prima di prendere la parola.
Suvvia ragazzo, è così che accogli il tuo salvatore? Ti ricordo che se non fosse per me ora saresti una poltiglia rossa sulla superficie grigia dell’asfalto.
Nick stava per prendere la parola quando Richard iniziò a rispondere alle sue domande, senza che ci fosse il bisogno di formularle.
Puoi tornare a casa. Puoi rivedere i tuoi genitori e il tuo fratellino. Prima, però, ho bisogno che tu faccia una piccola cosa per me. Non ti sarà difficile e non corri alcun rischio.
Richard fece schioccare le dita e scomparve.
Le pareti della stanza iniziarono a sollevarsi verso l’alto, rivelando quattro corpi. Nick li guardò e tutto ritornò alla mente come una brutta ferita. Ricordò loro quattro che lo picchiavano e lo buttavano per terra. Ricordò le loro mani forti, nettamente più forti delle sue che gli sfilavano i vestiti e la biancheria di dosso, fino a farlo sentire nudo come un verme. Ricordò il senso di nausea e disgusto che aveva provato quando avevano iniziato a strofinargli addosso i loro membri caldi. Persino le loro voci, malvagie e sadiche gli erano tornate alla memoria. Li sentiva chiaramente, mentre lo insultavano e gli dicevano di non lamentarsi, insinuando che a lui piacesse. L’odio e la vendetta divamparono, come se dentro di lui si fosse risvegliato l’inferno. Ognuno di essi era legato mani e polsi ad una parete, nudo e con gli occhi bendati. La restante superficie delle pareti era colma di armi e strumenti di tortura. C’erano strumenti di ogni tipo. Corde, fruste, mazze chiodate, aghi e chi più ne ha più ne metta. In mezzo a due ragazzi si aprì una porta che dava accesso ad una nuova stanza. La voce di Richard echeggiò nel silenzio.
Guarda dentro. E’ un regalo proveniente dall’antica Grecia. Personalizzato apposta per te.
Nick entrò nella stanza, quasi senza volerlo davvero, come se una strana forza lo stesse spingendo a farlo. Quando fu dentro non credette ai suoi occhi. Nella stanza c’era un Toro di Falaride, ma con la forma di un ariete. Non era uno studioso, ma ne aveva sentito parlare e ricordava che era delle macchine di tortura più perverse, superiore anche alla Vergine di Ferro. Inventata da Perillo, per regalare al proprio Re Falaride un modo nuovo per giustiziare i criminali, questa macchina era un grosso toro di rame, con una porta sul fianco. I criminali venivano chiusi all’interno, dopodiché sotto la pancia del toro veniva acceso un fuoco. Il metallo riscaldandosi arrostiva lentamente e a morte i suoi ospiti. Sotto richieste specifiche del Re Falaride, il quale non voleva permettere che qualcosa di indecoroso rovinasse il proprio divertimento, il toro fu progettato con un complesso sistema di tubi e fermi, i quali avevano due funzioni. La prima era che il fumo emanato dai cadaveri uscisse sotto di forma di nuvolette profumate d’incenso, mentre la seconda consisteva nel fare in modo che le urla e i lamenti dei prigionieri fossero attutiti al punto da sembrare i normali sbuffi di un toro infuriato. La leggenda narra che quando il toro veniva riaperto, le ossa dei erano talmente brillanti che venivano riutilizzate per creare gioielli.
Nick osservò la macchina con stupore. Provò subito un grande fascino verso quell’attrezzo, come se i pensieri di odio e vendetta che aveva dentro di lui trovassero in essa risalto e completezza. Tutto quello che sarebbe dovuto accadere nei prossimi minuti gli comparve nella mente chiaro come la luce. Un brivido gli corse lungo la schiena. Un brivido piacevole, come quei brividi dovuto all’emozione che si hanno talvolta durante il sesso. Si sentì vivo, rimesso a nuovo e felice. Non gli importava nulla di quanto fossero sbagliati i suoi pensieri. Il mondo stesso era sbagliato, quindi anche lui aveva il diritto di sbagliare. E poi cosa c’è di giusto nel sopportare senza fiatare gli sbagli degli altri?
Tornò nell’altra stanza e osservò i quattro prigionieri. I suoi quattro prigionieri. Loro avevano sempre giocato con lui e con la sua sensibilità. Era venuto il momento di giocare con loro. Avrebbe dato sfogo a tutte le sue più crudeli fantasie. Richard gli aveva fatto proprio un bel regalo. Richard? Come sapeva quel nome? Era sicuro che l’uomo non si fosse mai presentato, eppure era altrettanto sicuro del nome. Tuttavia al momento non era importante. Ora importava solo la vendetta.
Per prima cosa tolse la benda dagli occhi a tutti, voleva che vedessero il suo volto godere e gioire delle loro sofferenze. E poi sarebbe stato una tortura per gli altri vedere i propri amici soffrire atrocemente.
Osservò i vari oggetti sparsi per la stanza. Si avvicinò al coltello, sfiorò il manico di legno liscio con la mano, poi cambiò idea. Sulla sua destra la frusta sembrava chiamarlo, come se fosse impaziente di accarezzare quei maschili corpi nudi.
Prese la frusta e s’innamorò della sensazione di potere che avvertì nell’impugnarla. Sentiva il sangue ribollire e le vene vibrare. Si mosse verso il più piccolo di loro, camminando molto lentamente e facendo strisciare la frusta sul pavimento come se fosse un serpente. I ragazzi imprigionati cominciarono a dimenarsi e ad urlare in preda al terrore.
Nick si fermò al centro della stanza e li osservò per qualche minuto. Assaporava i loro movimenti, spasmodici e dettati da una paura famelica. Gustava le loro urla, strofinandosi la lingua sulle labbra, come se fossero cosparse dei residui di zucchero di un krapfen.
Partì la prima frustata, dritta sui genitali del ragazzo più minuto. Un urlo gli esplose dalla gola. Una seconda, una terza. La frusta acquistava sempre più velocità a mano a mano che la frenesia di Nick cresceva. Era andato fuori controllo. La sua mente si era liberata di ogni limite ed ora era come una catastrofe naturale. Non si poteva fermare, solo evitare e cercare di ridurre i danni al minimo. Ma loro non potevano scappare da nessuna parte. L’idea della fine cominciò a prendere forma nelle loro menti e a divorarli dall’interno. Quando il primo ragazzo perse i sensi, dopo essersi ritrovato con i solchi della frusta sulla maggior parte del corpo, venne il turno degli altri tre. Il procedimento fu lo stesso. Giunto alla fine del primo giro, lascio cadere in terra la frusta e afferrò il coltello. Passo in rassegna i corpi dei quattro ragazzi riempiendoli di tagli lungo tutta la superficie. Furono così tanti che sarebbero stati irriconoscibili persino per i loro genitori. Dopo averli ridotti ad una mucchio di carne lacerata e sangue, il sadismo prese il dominio assoluto della sua mente. Afferrò una tanica di alcool e cominciò a versargliela sulle ferite aperte. I ragazzi cominciarono a gridare come dannati, urlando così forte da strapparsi le corde vocali per lo sforzo, ma non era finita lì. Nick li osservava soffrire e godeva. Sentiva un senso di libidine pervadergli il corpo. Cominciò a toccarsi, poi smise subito per continuare il suo gioco. Vide un sacco bianco, e pensò di sapere cosa fosse. Lo aprì, ne prese una piccola parte del contenuto e la mise sulla lingua. Sale. Perfetto, pensò. Si cosparse la mano di sale e afferrò i genitali sanguinanti dei ragazzi. Persero i sensi. Lui tagliò le corde che li tenevano imprigionati e li trascinò nell’altra stanza, lasciando una scia di sangue sul pavimento. Osservò il Toro di Falaride, anzi l’Ariete di Nick, data la forma personalizzata e sorrise.
Decise di svegliarli, in modo che potessero vedere i propri amici arrostire e così fece. Cacciò dentro il primo e accese il fuoco. Pochi minuti dopo, il silenzio solenne della stanza venne rotto dal rumore sordo dei pugni che provenivano dall’interno dell’Ariete. Nick sorrise. Gli altri tre osservavano la scena rassegnati. Per un breve istante gli era balenata l’idea di scappare, ma dove e come? Non solo non ne avrebbero avuto la forza, ma non c’era nemmeno una via d’uscita. Quando il primo fu carbonizzato toccò al secondo e così via.
Una volta dentro l’ultimo osservò le ossa brillanti dei suoi amici. Quello era tutto ciò che rimaneva della loro amicizia. Un mucchio di ossa brillanti. Cominciò a piangere. Ripensava a quando gli era venuta la brillante idea di insultare e maltrattare quel ragazzo omosessuale. Quello stesso ragazzo che ora aveva stroncato la vita dei suoi amici e si stava prendendo anche la sua. Il calore cominciò ad aumentare sempre di più. Non picchiò alcun pugno contro l’ariete, non ne ebbe la forza.
Nick si sdraiò sul pavimento, stremato ma felice. Faceva respiri lunghi e profondi, per godere a pieno dell’aroma di quell’incenso.
Quanto era dolce il profumo della vendetta…
Nulla.
Per spogliare la stanza di tutto sarebbe bastato togliere le due poltrone di pelle nera. Non c’era nient’altro. Due poltrone nere in mezzo al bianco più assoluto, come due ombre nella luce.
Il modo in cui si era ritrovato aveva dell’assurdo e la sua mente ancora faticava ad accettare la realtà per quello che era, nonostante avesse provato più e più a prendersi a schiaffi per svegliarsi, al punto che la guancia aveva assunto un colorito rossastro. Niente era servito a svegliarlo, perché non c’era nulla da cui svegliarsi. Quella era la realtà, pura e semplice, oscura e complice.
Nonostante l’ansia, lo spavento, l’incredulità, nonostante tutte le emozioni che in quel momento gironzolavano confuse nella sua mente, nonostante tutto era felice.
Felice di essere vivo. Sentiva l’aria fresca entrargli nelle narici, riempirgli i polmoni. Quell’aria che sarebbe svanita per sempre una volta morto. Felice di poter tornare a casa, riabbracciare sua madre e chiederle scusa per aver tentato di gettare via il dono che lei le aveva fatto. Le avrebbe spiegato tutto, spiegato che era omosessuale, che a scuola veniva tormentato e sicuramente lei avrebbe saputo cosa fare. Avrebbe potuto iscriverlo in una scuola diversa, o chiamare degli insegnanti privati. Chissà se avrebbe potuto permetterselo. Non ne era sicuro. Sapeva che i suoi genitori guadagnavano abbastanza per condurre una vita agiata, ma non aveva di quanto potesse costare un insegnate privato. Tuttavia ora non era importante. Quello che importava era tornare a casa. Come poteva farlo? Non lo sapeva. Era in una stanza spoglia, situata chissà dove nel mondo. Solo in quel momento, pensando a come uscire da quel posto sconosciuto, la sua mente tornò su un dettaglio che gli occhi avevano notato al primo sguardo. Non c’era una porta in quella stanza. E nemmeno una finestra. Uscire da lì sarebbe stato impossibile.
Proprio in quel momento, mentre si guardava intorno nel tentativo di cercare una porta nascosta o qualsiasi altra via di fuga, una mano gli si posò sulla spalla. Nick schizzò in avanti, sfuggendo alla mano e si voltò. Il cuore gli era salito in gola prima che potesse accorgersene.
Richard osservò il ragazzo con un sorriso deliziato, prima di prendere la parola.
Suvvia ragazzo, è così che accogli il tuo salvatore? Ti ricordo che se non fosse per me ora saresti una poltiglia rossa sulla superficie grigia dell’asfalto.
Nick stava per prendere la parola quando Richard iniziò a rispondere alle sue domande, senza che ci fosse il bisogno di formularle.
Puoi tornare a casa. Puoi rivedere i tuoi genitori e il tuo fratellino. Prima, però, ho bisogno che tu faccia una piccola cosa per me. Non ti sarà difficile e non corri alcun rischio.
Richard fece schioccare le dita e scomparve.
Le pareti della stanza iniziarono a sollevarsi verso l’alto, rivelando quattro corpi. Nick li guardò e tutto ritornò alla mente come una brutta ferita. Ricordò loro quattro che lo picchiavano e lo buttavano per terra. Ricordò le loro mani forti, nettamente più forti delle sue che gli sfilavano i vestiti e la biancheria di dosso, fino a farlo sentire nudo come un verme. Ricordò il senso di nausea e disgusto che aveva provato quando avevano iniziato a strofinargli addosso i loro membri caldi. Persino le loro voci, malvagie e sadiche gli erano tornate alla memoria. Li sentiva chiaramente, mentre lo insultavano e gli dicevano di non lamentarsi, insinuando che a lui piacesse. L’odio e la vendetta divamparono, come se dentro di lui si fosse risvegliato l’inferno. Ognuno di essi era legato mani e polsi ad una parete, nudo e con gli occhi bendati. La restante superficie delle pareti era colma di armi e strumenti di tortura. C’erano strumenti di ogni tipo. Corde, fruste, mazze chiodate, aghi e chi più ne ha più ne metta. In mezzo a due ragazzi si aprì una porta che dava accesso ad una nuova stanza. La voce di Richard echeggiò nel silenzio.
Guarda dentro. E’ un regalo proveniente dall’antica Grecia. Personalizzato apposta per te.
Nick entrò nella stanza, quasi senza volerlo davvero, come se una strana forza lo stesse spingendo a farlo. Quando fu dentro non credette ai suoi occhi. Nella stanza c’era un Toro di Falaride, ma con la forma di un ariete. Non era uno studioso, ma ne aveva sentito parlare e ricordava che era delle macchine di tortura più perverse, superiore anche alla Vergine di Ferro. Inventata da Perillo, per regalare al proprio Re Falaride un modo nuovo per giustiziare i criminali, questa macchina era un grosso toro di rame, con una porta sul fianco. I criminali venivano chiusi all’interno, dopodiché sotto la pancia del toro veniva acceso un fuoco. Il metallo riscaldandosi arrostiva lentamente e a morte i suoi ospiti. Sotto richieste specifiche del Re Falaride, il quale non voleva permettere che qualcosa di indecoroso rovinasse il proprio divertimento, il toro fu progettato con un complesso sistema di tubi e fermi, i quali avevano due funzioni. La prima era che il fumo emanato dai cadaveri uscisse sotto di forma di nuvolette profumate d’incenso, mentre la seconda consisteva nel fare in modo che le urla e i lamenti dei prigionieri fossero attutiti al punto da sembrare i normali sbuffi di un toro infuriato. La leggenda narra che quando il toro veniva riaperto, le ossa dei erano talmente brillanti che venivano riutilizzate per creare gioielli.
Nick osservò la macchina con stupore. Provò subito un grande fascino verso quell’attrezzo, come se i pensieri di odio e vendetta che aveva dentro di lui trovassero in essa risalto e completezza. Tutto quello che sarebbe dovuto accadere nei prossimi minuti gli comparve nella mente chiaro come la luce. Un brivido gli corse lungo la schiena. Un brivido piacevole, come quei brividi dovuto all’emozione che si hanno talvolta durante il sesso. Si sentì vivo, rimesso a nuovo e felice. Non gli importava nulla di quanto fossero sbagliati i suoi pensieri. Il mondo stesso era sbagliato, quindi anche lui aveva il diritto di sbagliare. E poi cosa c’è di giusto nel sopportare senza fiatare gli sbagli degli altri?
Tornò nell’altra stanza e osservò i quattro prigionieri. I suoi quattro prigionieri. Loro avevano sempre giocato con lui e con la sua sensibilità. Era venuto il momento di giocare con loro. Avrebbe dato sfogo a tutte le sue più crudeli fantasie. Richard gli aveva fatto proprio un bel regalo. Richard? Come sapeva quel nome? Era sicuro che l’uomo non si fosse mai presentato, eppure era altrettanto sicuro del nome. Tuttavia al momento non era importante. Ora importava solo la vendetta.
Per prima cosa tolse la benda dagli occhi a tutti, voleva che vedessero il suo volto godere e gioire delle loro sofferenze. E poi sarebbe stato una tortura per gli altri vedere i propri amici soffrire atrocemente.
Osservò i vari oggetti sparsi per la stanza. Si avvicinò al coltello, sfiorò il manico di legno liscio con la mano, poi cambiò idea. Sulla sua destra la frusta sembrava chiamarlo, come se fosse impaziente di accarezzare quei maschili corpi nudi.
Prese la frusta e s’innamorò della sensazione di potere che avvertì nell’impugnarla. Sentiva il sangue ribollire e le vene vibrare. Si mosse verso il più piccolo di loro, camminando molto lentamente e facendo strisciare la frusta sul pavimento come se fosse un serpente. I ragazzi imprigionati cominciarono a dimenarsi e ad urlare in preda al terrore.
Nick si fermò al centro della stanza e li osservò per qualche minuto. Assaporava i loro movimenti, spasmodici e dettati da una paura famelica. Gustava le loro urla, strofinandosi la lingua sulle labbra, come se fossero cosparse dei residui di zucchero di un krapfen.
Partì la prima frustata, dritta sui genitali del ragazzo più minuto. Un urlo gli esplose dalla gola. Una seconda, una terza. La frusta acquistava sempre più velocità a mano a mano che la frenesia di Nick cresceva. Era andato fuori controllo. La sua mente si era liberata di ogni limite ed ora era come una catastrofe naturale. Non si poteva fermare, solo evitare e cercare di ridurre i danni al minimo. Ma loro non potevano scappare da nessuna parte. L’idea della fine cominciò a prendere forma nelle loro menti e a divorarli dall’interno. Quando il primo ragazzo perse i sensi, dopo essersi ritrovato con i solchi della frusta sulla maggior parte del corpo, venne il turno degli altri tre. Il procedimento fu lo stesso. Giunto alla fine del primo giro, lascio cadere in terra la frusta e afferrò il coltello. Passo in rassegna i corpi dei quattro ragazzi riempiendoli di tagli lungo tutta la superficie. Furono così tanti che sarebbero stati irriconoscibili persino per i loro genitori. Dopo averli ridotti ad una mucchio di carne lacerata e sangue, il sadismo prese il dominio assoluto della sua mente. Afferrò una tanica di alcool e cominciò a versargliela sulle ferite aperte. I ragazzi cominciarono a gridare come dannati, urlando così forte da strapparsi le corde vocali per lo sforzo, ma non era finita lì. Nick li osservava soffrire e godeva. Sentiva un senso di libidine pervadergli il corpo. Cominciò a toccarsi, poi smise subito per continuare il suo gioco. Vide un sacco bianco, e pensò di sapere cosa fosse. Lo aprì, ne prese una piccola parte del contenuto e la mise sulla lingua. Sale. Perfetto, pensò. Si cosparse la mano di sale e afferrò i genitali sanguinanti dei ragazzi. Persero i sensi. Lui tagliò le corde che li tenevano imprigionati e li trascinò nell’altra stanza, lasciando una scia di sangue sul pavimento. Osservò il Toro di Falaride, anzi l’Ariete di Nick, data la forma personalizzata e sorrise.
Decise di svegliarli, in modo che potessero vedere i propri amici arrostire e così fece. Cacciò dentro il primo e accese il fuoco. Pochi minuti dopo, il silenzio solenne della stanza venne rotto dal rumore sordo dei pugni che provenivano dall’interno dell’Ariete. Nick sorrise. Gli altri tre osservavano la scena rassegnati. Per un breve istante gli era balenata l’idea di scappare, ma dove e come? Non solo non ne avrebbero avuto la forza, ma non c’era nemmeno una via d’uscita. Quando il primo fu carbonizzato toccò al secondo e così via.
Una volta dentro l’ultimo osservò le ossa brillanti dei suoi amici. Quello era tutto ciò che rimaneva della loro amicizia. Un mucchio di ossa brillanti. Cominciò a piangere. Ripensava a quando gli era venuta la brillante idea di insultare e maltrattare quel ragazzo omosessuale. Quello stesso ragazzo che ora aveva stroncato la vita dei suoi amici e si stava prendendo anche la sua. Il calore cominciò ad aumentare sempre di più. Non picchiò alcun pugno contro l’ariete, non ne ebbe la forza.
Nick si sdraiò sul pavimento, stremato ma felice. Faceva respiri lunghi e profondi, per godere a pieno dell’aroma di quell’incenso.
Quanto era dolce il profumo della vendetta…