Sette Giorni Di Vuoto - Parte 1
Qualche tempo fa, in un paese di qualche migliaio di
persone, ci furono degli omicidi. La notizia di qualche omicidio non è nulla di
sconvolgente come alcuni di certo penseranno. Quello che invece sconvolse il
piccolo paese di Denkel fu quello che avevano in comune i delitti. Il
Dipartimento di Polizia di Denkel non si era mai trovato davanti a un simile
caso e non sapevano più come uscirne. Edward Rossics era l’uomo sulle cui
spalle pesava l’incalcolabile peso di tutto quel caos. A quei tempi era lui a
capo del Dipartimento e tutto il paese di Denkel era dell’opinione che non
potevano essere in mani migliori.
Edward era un uomo sulla quarantina, che in carriera aveva ricevuto molti riconoscimenti, tra cui una medaglia al valore, quando aveva salvato la vita ad alcuni compagni durante una violenta rivolta. In quell’episodio era stato colpito alla schiena da tre proiettili ma, per fortuna o per volere divino, nessuno aveva colpito organi vitali. In seguito fu ricoverato in gravi condizioni e appena fu guarito tornò subito al lavoro. Nei suoi successivi dieci anni di carriera, prima l’intera regione e poi l’intero Stato avevano chiesto il suo appoggio nei casi più delicati e complessi e lui li aveva risolti tutti in maniera impeccabile. Aveva conseguito ulteriori riconoscimenti e medaglie, fino a ricevere il soprannome di Edward L’Infallibile. E non dimenticava mai di vantarsene quando parlava del suo lavoro, ovvero ogni giorno. Nonostante la fama, non aveva mai lasciato Denkel perché amava quella città quasi quanto la sua splendida moglie. Iris era una donna dall’eleganza e la bellezza smisurate. Lavorava all’ospedale di Denkel come chirurga, ed era stata lei a salvare la vita a Edward. Quando lui fu dimesso dall’ospedale, aveva iniziato a corteggiarla e lei ne era stata felice. Tre anni dopo diventarono marito e moglie e andarono ad abitare insieme in una modesta villa nella parte ovest di Denkel.
In quel periodo di difficoltà del marito non mancava di stargli accanto e sostenerlo.
Edward era vicino al crollo mentale e se non fosse stato per Iris sarebbe già impazzito. In tutta la sua vita non si era mai trovato davanti a un caso come questo. Lui, Edward L’Infallibile, lavorava a questo caso da un mese e ancora non ne era venuto a capo. Il suo quarantunesimo compleanno se lo sarebbe dimenticato se non fosse arrivata sua moglie con una torta colma di candeline per distoglierlo dal caso. Edward la ringraziò prendendone una fetta e baciandola sulle labbra, poi tornò con lo sguardo sul cumulo di fogli che stavano accatastati sul tavolo. C’erano schedari, ritagli di giornale, foto e numeri da chiamare o già chiamati. C’era tutto tranne la soluzione.
Il primo raggio di sole si proiettò sul mucchio di fogli e catturò per un istante l’attenzione di Edward. Erano le sei e lui ancora non era andato a dormire. Le palpebre vibravano in preda a tic nervosi e cercavano di imporre la loro volontà di chiudersi. Edward sentiva la testa scoppiare e la lucidità era stata cancellata insieme al nero della notte.
≪Edward, vieni a dormire.≫
Iris si era svegliata e non avendo trovato il marito accanto a lei era andata a controllare in soggiorno.
≪Tra un po’ cara.≫
≪Subito Edward. Non sto scherzando. Non ti servirà a nulla stare sveglio tutta la notte e stancarti così tanto. Se vuoi ragionare a mente lucida hai bisogno di riposo.≫
≪Hai ragione. E’ solo che…≫
≪Che non riesci a darti pace. Lo so. Ma ora vieni a riposarti e vedrai che quando ti sveglierai riuscirai a ragionare meglio.≫
≪Si…ma io… io sono Edward L’Infallibile e allora perché non riesco a venire a capo di questo caos.)≫
≪Per gli altri sarai anche Edward L’Infallibile, ma per me sei sempre stato e sarai sempre Eddie Raggio di Luna e la tua mente ha bisogno di dormire per poter lavorare.≫
Raggio di Luna. Quel soprannome era il loro segreto. La prima volta che fecero l’amore era una notte stupenda. I loro corpi si erano uniti all’aperto, sotto una splendida luna che brillava accompagnata da una miriade di stelle. Era stato bellissimo per entrambi. E lei per ricordare per sempre quella sera, in cui aveva conosciuto l’amore per la prima volta, l’aveva chiamato Edward Raggio di Luna.
≪Si hai ragione. Scusa.≫
Edward si alzò dalla sedia e si recò verso la moglie e le diede un bacio. Lei tornò in camera, seguita da lui, e si rimise a letto. Edward si sedette sul bordo e si passò le mani tra i capelli prima di iniziare a svestirsi. Quand’ebbe finito s’infilò sotto le coperte. Iris si avvicinò a lui e iniziò a coccolarlo dolcemente. Non ci volle molto prima che lui cadde in un sonno profondo. Iris lo guardò mentre dormiva e sorrise, infine si riaddormentò anche lei.
Un mese prima. La scomparsa di Bryan.
Erano passate da poco le otto di sera quando Charles Lenker aveva chiamato il Dipartimento di Polizia di Denkel per denunciare la scomparsa di suo figlio Bryan, in ritardo ormai da più di due ore. Margareth se ne stava seduta accanto al tavolo in preda a un attacco di ansia. La sua mente iniziava a formulare ipotesi dolorose e le lacrime iniziarono a farle bruciare gli occhi.
Non poteva crederci, non voleva crederci.
Il pensiero che Bryan fosse stato rapito oppure ucciso, era come un coltello rovente cosparso di sale che prima s’infilza nel cervello e poi inizia a roteare.
≪Han detto che lo cercheranno…≫
Il tono di Charles era debole e affranto almeno quanto l’aspetto della moglie. Si strinsero in un abbraccio e piansero insieme. Passarono la notte insonne, accanto al telefono, nella speranza che la polizia chiamasse per annunciare il ritrovamento del piccolo. Per un intera settimana Edward, insieme ad altri agenti, perlustrarono ogni zona di Denkel, interrogando ogni persona riguardo la scomparsa del piccolo Bryan. Non trovarono nessuna informazione, nessun indizio.
Nulla…
Sette giorni dopo la scomparsa di Bryan…
Charles e Margareth, uscirono di casa per andare a fare la spesa. Ci impiegarono poco più di un’ora e alle venti erano già di ritorno a casa. Nonostante l’ora faceva ancora molto caldo ed entrambi erano assetati, così Margareth aprì il frigorifero e riempì due bicchieri d’acqua. Bevvero tutto di un fiato e poi come ogni sera, da una settimana, si sedettero sul divano in salotto accanto al telefono, nella speranza di ricevere notizie sul loro bambino. Col passare dei minuti le palpebre divennero sempre più pesanti e il mondo circostante sempre più sfocato, fino a quando entrambi non caddero in un sonno profondo. Non sapevano che non si sarebbero mai più risvegliati…
≪Ho ucciso due persone. Mi trovo al 22 di Foxrat Street≫
La chiamata s’interruppe subito dopo. Edward insieme a due suoi colleghi salirono a bordo della volante e sfrecciarono a sirene accese verso l’indirizzo ricevuto per telefono. La destinazione era abbastanza vicina e non ci vollero più di cinque minuti per raggiungerla.
Scesero dalla macchina con le pistole in pugno e avanzarono verso l’ingresso. La porta era socchiusa e lasciava uscire uno spiraglio di luce gialla. Dall’interno non proveniva alcun rumore, così Edward decise di entrare. Prima di farlo ordinò a un suo di collega di posizionarsi sul retro e all’altro di stare fermo sulla soglia.
Aprì la porta molto lentamente con la mano sinistra tenendo la mano destra in avanti con la pistola puntata e l’indice sul grilletto. Nulla. Voltandosi a destra vide un’altra porta socchiusa dal quale proveniva una luce soffusa e decise di andare a controllare. Aprì la porta con lo stesso metodo e quando fu dentro non credette ai suoi occhi. Su una poltrona in pelle era seduto un bambino e lo stava fissando con occhi freddi, come un automa. Lui lo guardò per un istante e gli tornarono alla mente le parole di Charles.
Si chiama Bryan è un bambino di sette anni, alto un metro e trentanove e pesa trenta chili. Ha dei capelli riccioli biondi e gli occhi marroni.
Tutto corrispondeva.
≪Bryan?≫ domandò con voce tanto incredula quanto spaventata.
≪Si sono io.≫ La voce del bambino era fredda e glaciale, come se venisse da un altro mondo.
≪Sei tu che hai chiamato?≫
≪Si. Loro sono lì.≫
Il piccolo bambino indicò col dito il divano accanto alla parete sul fianco della porta. Edward seguì l’indicazione e si ritrovò a fissare i corpi di Charles e Margareth privi di vita. Entrambi avevano la testa buttata all’indietro contro lo schienale. La gola era stata tagliata da parte a parte e non lasciava spazio all’immaginazione. I vestiti e il divano di stoffa avevano il colore vermiglio del sangue. Edward tornò a guardare Bryan.
≪Sei…sei stato tu?≫ Il tono di Edward era colmo di incredulità, non riusciva a capire come fosse possibile quanto stesse accadendo.
≪Si sono stato io.≫
≪Perché hai ucciso i tuoi genitori?≫
≪Loro non erano i miei genitori. Erano gente cattiva ed è giusto uccidere la gente la cattiva.≫
≪Bryan cosa stai dicendo?≫
Edward stava cadendo in un vortice di confusione. Per la prima volta, in quindici anni di carriera, si trovava davanti a un bambino che dichiarava di aver ucciso due persone cattive. E, cosa ancora più strana, negava che quelle persone fossero i suoi genitori.
≪Dico la verità. Loro erano gente cattiva. Io non ho i genitori. Me l’ha detto il robot con la maschera.≫
≪Il robot con la maschera?≫
≪Si. E’ bravo. Lui mi ha trovato abbandonato e mi è sempre stato vicino. Poi mi ha detto che io dovevo aiutarlo.≫
≪Aiutarlo come?≫
≪Dovevo uccidere queste due persone cattive al posto suo. Lui non può perchè non ha le mani. Sono loro che gliele hanno tagliate…≫
Edward era un uomo sulla quarantina, che in carriera aveva ricevuto molti riconoscimenti, tra cui una medaglia al valore, quando aveva salvato la vita ad alcuni compagni durante una violenta rivolta. In quell’episodio era stato colpito alla schiena da tre proiettili ma, per fortuna o per volere divino, nessuno aveva colpito organi vitali. In seguito fu ricoverato in gravi condizioni e appena fu guarito tornò subito al lavoro. Nei suoi successivi dieci anni di carriera, prima l’intera regione e poi l’intero Stato avevano chiesto il suo appoggio nei casi più delicati e complessi e lui li aveva risolti tutti in maniera impeccabile. Aveva conseguito ulteriori riconoscimenti e medaglie, fino a ricevere il soprannome di Edward L’Infallibile. E non dimenticava mai di vantarsene quando parlava del suo lavoro, ovvero ogni giorno. Nonostante la fama, non aveva mai lasciato Denkel perché amava quella città quasi quanto la sua splendida moglie. Iris era una donna dall’eleganza e la bellezza smisurate. Lavorava all’ospedale di Denkel come chirurga, ed era stata lei a salvare la vita a Edward. Quando lui fu dimesso dall’ospedale, aveva iniziato a corteggiarla e lei ne era stata felice. Tre anni dopo diventarono marito e moglie e andarono ad abitare insieme in una modesta villa nella parte ovest di Denkel.
In quel periodo di difficoltà del marito non mancava di stargli accanto e sostenerlo.
Edward era vicino al crollo mentale e se non fosse stato per Iris sarebbe già impazzito. In tutta la sua vita non si era mai trovato davanti a un caso come questo. Lui, Edward L’Infallibile, lavorava a questo caso da un mese e ancora non ne era venuto a capo. Il suo quarantunesimo compleanno se lo sarebbe dimenticato se non fosse arrivata sua moglie con una torta colma di candeline per distoglierlo dal caso. Edward la ringraziò prendendone una fetta e baciandola sulle labbra, poi tornò con lo sguardo sul cumulo di fogli che stavano accatastati sul tavolo. C’erano schedari, ritagli di giornale, foto e numeri da chiamare o già chiamati. C’era tutto tranne la soluzione.
Il primo raggio di sole si proiettò sul mucchio di fogli e catturò per un istante l’attenzione di Edward. Erano le sei e lui ancora non era andato a dormire. Le palpebre vibravano in preda a tic nervosi e cercavano di imporre la loro volontà di chiudersi. Edward sentiva la testa scoppiare e la lucidità era stata cancellata insieme al nero della notte.
≪Edward, vieni a dormire.≫
Iris si era svegliata e non avendo trovato il marito accanto a lei era andata a controllare in soggiorno.
≪Tra un po’ cara.≫
≪Subito Edward. Non sto scherzando. Non ti servirà a nulla stare sveglio tutta la notte e stancarti così tanto. Se vuoi ragionare a mente lucida hai bisogno di riposo.≫
≪Hai ragione. E’ solo che…≫
≪Che non riesci a darti pace. Lo so. Ma ora vieni a riposarti e vedrai che quando ti sveglierai riuscirai a ragionare meglio.≫
≪Si…ma io… io sono Edward L’Infallibile e allora perché non riesco a venire a capo di questo caos.)≫
≪Per gli altri sarai anche Edward L’Infallibile, ma per me sei sempre stato e sarai sempre Eddie Raggio di Luna e la tua mente ha bisogno di dormire per poter lavorare.≫
Raggio di Luna. Quel soprannome era il loro segreto. La prima volta che fecero l’amore era una notte stupenda. I loro corpi si erano uniti all’aperto, sotto una splendida luna che brillava accompagnata da una miriade di stelle. Era stato bellissimo per entrambi. E lei per ricordare per sempre quella sera, in cui aveva conosciuto l’amore per la prima volta, l’aveva chiamato Edward Raggio di Luna.
≪Si hai ragione. Scusa.≫
Edward si alzò dalla sedia e si recò verso la moglie e le diede un bacio. Lei tornò in camera, seguita da lui, e si rimise a letto. Edward si sedette sul bordo e si passò le mani tra i capelli prima di iniziare a svestirsi. Quand’ebbe finito s’infilò sotto le coperte. Iris si avvicinò a lui e iniziò a coccolarlo dolcemente. Non ci volle molto prima che lui cadde in un sonno profondo. Iris lo guardò mentre dormiva e sorrise, infine si riaddormentò anche lei.
Un mese prima. La scomparsa di Bryan.
Erano passate da poco le otto di sera quando Charles Lenker aveva chiamato il Dipartimento di Polizia di Denkel per denunciare la scomparsa di suo figlio Bryan, in ritardo ormai da più di due ore. Margareth se ne stava seduta accanto al tavolo in preda a un attacco di ansia. La sua mente iniziava a formulare ipotesi dolorose e le lacrime iniziarono a farle bruciare gli occhi.
Non poteva crederci, non voleva crederci.
Il pensiero che Bryan fosse stato rapito oppure ucciso, era come un coltello rovente cosparso di sale che prima s’infilza nel cervello e poi inizia a roteare.
≪Han detto che lo cercheranno…≫
Il tono di Charles era debole e affranto almeno quanto l’aspetto della moglie. Si strinsero in un abbraccio e piansero insieme. Passarono la notte insonne, accanto al telefono, nella speranza che la polizia chiamasse per annunciare il ritrovamento del piccolo. Per un intera settimana Edward, insieme ad altri agenti, perlustrarono ogni zona di Denkel, interrogando ogni persona riguardo la scomparsa del piccolo Bryan. Non trovarono nessuna informazione, nessun indizio.
Nulla…
Sette giorni dopo la scomparsa di Bryan…
Charles e Margareth, uscirono di casa per andare a fare la spesa. Ci impiegarono poco più di un’ora e alle venti erano già di ritorno a casa. Nonostante l’ora faceva ancora molto caldo ed entrambi erano assetati, così Margareth aprì il frigorifero e riempì due bicchieri d’acqua. Bevvero tutto di un fiato e poi come ogni sera, da una settimana, si sedettero sul divano in salotto accanto al telefono, nella speranza di ricevere notizie sul loro bambino. Col passare dei minuti le palpebre divennero sempre più pesanti e il mondo circostante sempre più sfocato, fino a quando entrambi non caddero in un sonno profondo. Non sapevano che non si sarebbero mai più risvegliati…
≪Ho ucciso due persone. Mi trovo al 22 di Foxrat Street≫
La chiamata s’interruppe subito dopo. Edward insieme a due suoi colleghi salirono a bordo della volante e sfrecciarono a sirene accese verso l’indirizzo ricevuto per telefono. La destinazione era abbastanza vicina e non ci vollero più di cinque minuti per raggiungerla.
Scesero dalla macchina con le pistole in pugno e avanzarono verso l’ingresso. La porta era socchiusa e lasciava uscire uno spiraglio di luce gialla. Dall’interno non proveniva alcun rumore, così Edward decise di entrare. Prima di farlo ordinò a un suo di collega di posizionarsi sul retro e all’altro di stare fermo sulla soglia.
Aprì la porta molto lentamente con la mano sinistra tenendo la mano destra in avanti con la pistola puntata e l’indice sul grilletto. Nulla. Voltandosi a destra vide un’altra porta socchiusa dal quale proveniva una luce soffusa e decise di andare a controllare. Aprì la porta con lo stesso metodo e quando fu dentro non credette ai suoi occhi. Su una poltrona in pelle era seduto un bambino e lo stava fissando con occhi freddi, come un automa. Lui lo guardò per un istante e gli tornarono alla mente le parole di Charles.
Si chiama Bryan è un bambino di sette anni, alto un metro e trentanove e pesa trenta chili. Ha dei capelli riccioli biondi e gli occhi marroni.
Tutto corrispondeva.
≪Bryan?≫ domandò con voce tanto incredula quanto spaventata.
≪Si sono io.≫ La voce del bambino era fredda e glaciale, come se venisse da un altro mondo.
≪Sei tu che hai chiamato?≫
≪Si. Loro sono lì.≫
Il piccolo bambino indicò col dito il divano accanto alla parete sul fianco della porta. Edward seguì l’indicazione e si ritrovò a fissare i corpi di Charles e Margareth privi di vita. Entrambi avevano la testa buttata all’indietro contro lo schienale. La gola era stata tagliata da parte a parte e non lasciava spazio all’immaginazione. I vestiti e il divano di stoffa avevano il colore vermiglio del sangue. Edward tornò a guardare Bryan.
≪Sei…sei stato tu?≫ Il tono di Edward era colmo di incredulità, non riusciva a capire come fosse possibile quanto stesse accadendo.
≪Si sono stato io.≫
≪Perché hai ucciso i tuoi genitori?≫
≪Loro non erano i miei genitori. Erano gente cattiva ed è giusto uccidere la gente la cattiva.≫
≪Bryan cosa stai dicendo?≫
Edward stava cadendo in un vortice di confusione. Per la prima volta, in quindici anni di carriera, si trovava davanti a un bambino che dichiarava di aver ucciso due persone cattive. E, cosa ancora più strana, negava che quelle persone fossero i suoi genitori.
≪Dico la verità. Loro erano gente cattiva. Io non ho i genitori. Me l’ha detto il robot con la maschera.≫
≪Il robot con la maschera?≫
≪Si. E’ bravo. Lui mi ha trovato abbandonato e mi è sempre stato vicino. Poi mi ha detto che io dovevo aiutarlo.≫
≪Aiutarlo come?≫
≪Dovevo uccidere queste due persone cattive al posto suo. Lui non può perchè non ha le mani. Sono loro che gliele hanno tagliate…≫