Sette Giorni Di Vuoto - Parte 2
Edward era sempre più scioccato. Non solo il bambino non
aveva idea di aver ucciso i propri genitori, ma li stava accusando di aver
tagliato le mani ad un robot con una maschera che si era sempre preso cura di
lui.
Edward ordinò a Jake di chiamare un’ambulanza e far delimitare la zona. Disse loro che il colpevole era il ragazzino e loro non furono meno sorpresi di lui. Edward e Bryan tornarono alla centrale proseguendo la loro conversazione senza ulteriori sviluppi. Bryan aveva detto tutto quello che sapeva. Decisero di sottoporlo a degli esami specifici per vedere se il bambino aveva subito maltrattamenti o influenze di ogni tipo, magari per effetto di droghe o medicinali. Mentre Bryan eseguiva i vari controlli, Edward cercava una logica nel caso. La priorità assoluta era scoprire chi si nascondeva sotto quel travestimento da robot con le mani amputate. Un paio d’ore dopo chiamarono per comunicargli gli esiti degli esami.
≪Edward, ho i risultati. Non ci sono segni di maltrattamento fisico, tuttavia il bambino è affetto da amnesia retrograda.≫
≪Amnesia?≫
≪Esatto. Sicuramente è per quello che non ricorda i suoi genitori.≫
≪Capisco. Hai detto che non ha segni di maltrattamento, quindi deduco non abbia subito nemmeno traumi cranici che possano aver provocato l’amnesia. Giusto?≫
≪Esatto. L’amnesia però può svilupparsi anche per gravi problemi circolatori. Tuttavia gli esami risultano tutti a posto. E’ come se il piccolo fosse stato sottoposto al lavaggio del cervello.≫
≪Merda. Chiunque ha fatto questo la pagherà. Tenete Bryan sotto osservazione, nel frattempo dica a Jake di cercare un istituto che si possa prendere cura di lui.≫
≪Sarà fatto.≫
Edward tornò a casa verso mezzanotte e Iris lo stava aspettando a letto. Lui la raggiunse e iniziò ad accarezzarla, raccontandole del piccolo Bryan.
La sveglia suonò alle sei come ogni mattina. Edward non aveva riposato bene, ma guardando Iris, che dormiva come un angelo, abbozzò un mezzo sorriso. Era sempre stato innamorato dell’espressione che aveva quando dormiva. Ogni volta che posava lo sguardo su di lei non poteva non desiderare di accarezzarla o baciarla. Quella donna era assolutamente irresistibile. Edward le accarezzò il viso e dopo averle posato un bacio sulle labbra, si preparò per tornare al lavoro.
Jake lo stava aspettando al Dipartimento per informarlo che Bryan era stato affidato ad un istituto come richiesto. Edward annuì prima di scomparire in ufficio. La scrivania era colma di fogli, contenenti gli schedari di tutte le persone che avevano precedenti penali per rapimento o reati sui minori. C’erano persino le persone collegate ad esse. Erano circa le due e mezza del pomeriggio quando il telefono nel suo ufficio cominciò a suonare.
Dipartimento di Polizia di Denkel. Qui è il Detective Edward chi parla?
Mi chiamo Eric Starris e vorrei denunciare la scomparsa di mio figlio Martin.
L’agitazione nella voce di Eric si trasferì in un istante al cuore di Edward. Ebbe la conferma che quanto accaduto con Bryan non era un caso isolato. Edward cercò di mantenere calmo il tono di voce.
≪Da quanto manca suo figlio?≫
≪Da più di un’ora ormai. Esce da scuola alle tredici e non è mai tornato dopo le tredici e trenta. Mai. Inoltre non risponde al telefono.≫
≪ Non si preoccupi lo cercheremo. Potrebbe fornirci una breve descrizione?≫
≪Ha nove anni. E’ alto circa un metro e quarantacinque e pesa cinquanta chili. Ha i capelli a caschetto castani e gli occhi marroni.≫
≪Perfetto. Inizieremo subito le ricerche.≫
Quando la telefonata giunse al termine Edward si abbandono sulla poltrona e convocò Jake nel suo ufficio. Il ragazzo non tardò ad arrivare e fu subito informato della situazione. Le indagini partirono dalla scuola elementare di Denkel.
Martin si era presentato a scuola in orario, come ogni mattina, e aveva seguito tutte le lezioni. Quando la campanella aveva suonato la fine della mattinata, si era incamminato verso casa come sempre. Jake, insieme ad altri colleghi, avevano iniziato un giro di domande per scoprire se qualcuno avesse visto o sentito qualcosa di strano. Ci volle più di mezza giornata prima di trovare uno straccio di indizio. Una signora sulla cinquantina aveva visto il piccolo Martin in compagnia di una giovane ragazza molto carina. I due sembravano andare d’accordo e conoscersi molto bene, poi la signora aveva svoltato nella direzione opposta e non aveva più visto nulla. Jake allora si era diretto a casa di Martin per chiedere ad Eric se sapeva chi fosse la ragazza. Ascoltata la descrizione, Eric affermò di conoscerla, dicendo che era la babysitter di Martin. Jake si fece dare il numero e contattò la ragazza, informandola che avrebbero dovuto interrogarla in merito al rapimento del piccolo Martin. La giovane fu scioccata ma subito disponibile, comunicando che nei prossimi dieci minuti si sarebbe recata al Dipartimento di Polizia di Denkel.
Quando Jake pochi minuti dopo raggiunse il Dipartimento, la ragazza era già arrivata. Indossava dei pantaloncini e una semplice maglietta di cotone di colore viola. Osservandola Jake capì che la descrizione della signora era stata quasi perfetta. Il taglio di capelli, l’altezza, la corporatura, tutto. Era davvero molto bella. La ragazza si presentò come Michelle Finblue e Jake la invitò a seguirlo nel suo ufficio. Quando si furono accomodati entrambi il poliziotto iniziò con le domande. Michelle aveva fatto compagnia a Martin fino all’inizio della via in cui il piccolo abitava. Lei doveva trovarsi in palestra all’una e trenta quindi, quando aveva visto che mancavano solamente cinque minuti, aveva tirato dritto mettendosi a correre per non ritardare, mentre Martin aveva svoltato a destra. Non l’aveva accompagnato fino a sotto casa perché mancavano circa quattrocento metri e non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe potuto accadere qualcosa. La sua versione fu confermata dall’istruttore della Beauty & Strong Fitness Club dichiarando che, all’una e trenta, Michelle era arrivata in palestra.
Nel frattempo, nell’altro ufficio, Edward stava facendo entrare uno alla volta tutti i potenziali sospettati per interrogarli. Purtroppo per lui, ognuno di loro nel presunto momento in cui furono avvenuti i rapimenti si trovava sul posto di lavoro. Edward aveva contattato i loro capi che dopo aver controllato il cartellino delle presenze avevano confermato la loro versione. Edward aveva anche chiesto se, in qualche modo, fosse possibile uscire di nascosto. Magari chiedendo a qualche collega di timbrare al proprio posto. Tutti i datori risposero che era impossibile. Il procedimento prevedeva che il lavoratore si presentasse al lavoro col proprio tesserino, il quale veniva controllato da una guardia all’entrata che ne controllava l’autenticità e segnava sul palmare che il dipendente era giunto sul posto di lavoro. Una volta dentro, la persona raggiungeva il magazzino o l’ufficio di sua competenza e timbrava il cartellino con l’apposita macchina. Infine Edward aveva chiesto di poter avere i nomi di tutte le guardie per poterle incontrare, non potendo escludere che il complice potesse essere una di loro.
Lasciò andare gli interrogati e diede una rapida occhiata allo schedario delle guardie. Nessuna aveva precedenti penali di alcun tipo e due erano addirittura ex militari. Furono interrogate a turno e ognuna di loro negò di aver coperto l’assenza di un dipendente. Molte di loro avevano una nitida sincerità negli occhi, ma altre (forse per via dell’agitazione) sembrarono titubanti. Al calar della sera non c’erano stati progressi, così Edward decise di sospendere le ricerche fino all’indomani. Inoltre mise sotto sorveglianza la casa del signor Starris e la scuola elementare in modo da prevenire ulteriori omicidi o rapimenti.
Tornò a casa puntuale per cena e Iris era in cucina davanti ai fornelli. Iris andò incontro a suo marito e non mancò di notare che gli occhi di lui non erano mai stati così spenti e pensierosi come quella sera.
≪Che succede tesoro?≫
≪Oggi c’è stato un altro rapimento. Un bambino di nove anni. Ho interrogato almeno cinquanta persone e non ho nessun indizio.≫
≪Vedrai che si risolverà tutto. Tu sei infallibile ricordalo.≫
≪Lo so. Grazie amore mio.≫
La mattina dopo le ricerche continuarono e così la mattina ancora dopo e anche quella seguente. Sempre senza risultati. Il quarto giorno Edward si stava convincendo che forse sarebbe stato meglio chiedere l’intervento di forze speciali, ma il suo orgoglio ebbe il sopravvento e non lo fece. Decise di continuare da solo ancora per qualche tempo e se non fosse riuscito a trovare l’assassino, allora avrebbe chiesto aiuto alle forze speciali. I giorni successivi volarono, tra interrogatori e ricerche vane, fino a quando il settimo giorno non ricevette una nuova chiamata in piena notte.
Ho ucciso una persona. Venite al 34 di Larsen Street.
Una goccia di sudore scivolò per la spina dorsale di Edward, come un artiglio di ghiaccio. Rabbrividì. Sapeva già cosa avrebbe trovato in quella casa e tutto fu come aveva previsto.
Martin era seduto al bordo del letto e suo padre giaceva accanto a lui con la gola tagliata. Il sangue uscito dalla ferita aveva inzuppato tutte le coperte.
≪Salve. Ho ucciso l’uomo cattivo.≫
Edward non disse nulla, prese il piccolo e andarono subito alla centrale. Rimasero nel suo ufficio per un paio d’ore. La storia all’incirca fu la stessa. Il bambino disse di aver perso il padre e che il robot con la maschera si era preso cura di lui. L’unica differenza venne fuori quando Edward gli chiese delle mani. Quel “robot” aveva le mani, ma gli mancavano i piedi e per questo era costretto a stare su una sedia rotelle. Ad amputarglieli era stato il padre di Martin, così quando il robot gli aveva chiesto di ucciderlo lui l’aveva fatto. I controlli confermarono che anche il piccolo Martin era stato colpito di recente da un’amnesia.
Non ebbe nemmeno il tempo di prendere fiato che il telefono prese a squillare…
Edward ordinò a Jake di chiamare un’ambulanza e far delimitare la zona. Disse loro che il colpevole era il ragazzino e loro non furono meno sorpresi di lui. Edward e Bryan tornarono alla centrale proseguendo la loro conversazione senza ulteriori sviluppi. Bryan aveva detto tutto quello che sapeva. Decisero di sottoporlo a degli esami specifici per vedere se il bambino aveva subito maltrattamenti o influenze di ogni tipo, magari per effetto di droghe o medicinali. Mentre Bryan eseguiva i vari controlli, Edward cercava una logica nel caso. La priorità assoluta era scoprire chi si nascondeva sotto quel travestimento da robot con le mani amputate. Un paio d’ore dopo chiamarono per comunicargli gli esiti degli esami.
≪Edward, ho i risultati. Non ci sono segni di maltrattamento fisico, tuttavia il bambino è affetto da amnesia retrograda.≫
≪Amnesia?≫
≪Esatto. Sicuramente è per quello che non ricorda i suoi genitori.≫
≪Capisco. Hai detto che non ha segni di maltrattamento, quindi deduco non abbia subito nemmeno traumi cranici che possano aver provocato l’amnesia. Giusto?≫
≪Esatto. L’amnesia però può svilupparsi anche per gravi problemi circolatori. Tuttavia gli esami risultano tutti a posto. E’ come se il piccolo fosse stato sottoposto al lavaggio del cervello.≫
≪Merda. Chiunque ha fatto questo la pagherà. Tenete Bryan sotto osservazione, nel frattempo dica a Jake di cercare un istituto che si possa prendere cura di lui.≫
≪Sarà fatto.≫
Edward tornò a casa verso mezzanotte e Iris lo stava aspettando a letto. Lui la raggiunse e iniziò ad accarezzarla, raccontandole del piccolo Bryan.
La sveglia suonò alle sei come ogni mattina. Edward non aveva riposato bene, ma guardando Iris, che dormiva come un angelo, abbozzò un mezzo sorriso. Era sempre stato innamorato dell’espressione che aveva quando dormiva. Ogni volta che posava lo sguardo su di lei non poteva non desiderare di accarezzarla o baciarla. Quella donna era assolutamente irresistibile. Edward le accarezzò il viso e dopo averle posato un bacio sulle labbra, si preparò per tornare al lavoro.
Jake lo stava aspettando al Dipartimento per informarlo che Bryan era stato affidato ad un istituto come richiesto. Edward annuì prima di scomparire in ufficio. La scrivania era colma di fogli, contenenti gli schedari di tutte le persone che avevano precedenti penali per rapimento o reati sui minori. C’erano persino le persone collegate ad esse. Erano circa le due e mezza del pomeriggio quando il telefono nel suo ufficio cominciò a suonare.
Dipartimento di Polizia di Denkel. Qui è il Detective Edward chi parla?
Mi chiamo Eric Starris e vorrei denunciare la scomparsa di mio figlio Martin.
L’agitazione nella voce di Eric si trasferì in un istante al cuore di Edward. Ebbe la conferma che quanto accaduto con Bryan non era un caso isolato. Edward cercò di mantenere calmo il tono di voce.
≪Da quanto manca suo figlio?≫
≪Da più di un’ora ormai. Esce da scuola alle tredici e non è mai tornato dopo le tredici e trenta. Mai. Inoltre non risponde al telefono.≫
≪ Non si preoccupi lo cercheremo. Potrebbe fornirci una breve descrizione?≫
≪Ha nove anni. E’ alto circa un metro e quarantacinque e pesa cinquanta chili. Ha i capelli a caschetto castani e gli occhi marroni.≫
≪Perfetto. Inizieremo subito le ricerche.≫
Quando la telefonata giunse al termine Edward si abbandono sulla poltrona e convocò Jake nel suo ufficio. Il ragazzo non tardò ad arrivare e fu subito informato della situazione. Le indagini partirono dalla scuola elementare di Denkel.
Martin si era presentato a scuola in orario, come ogni mattina, e aveva seguito tutte le lezioni. Quando la campanella aveva suonato la fine della mattinata, si era incamminato verso casa come sempre. Jake, insieme ad altri colleghi, avevano iniziato un giro di domande per scoprire se qualcuno avesse visto o sentito qualcosa di strano. Ci volle più di mezza giornata prima di trovare uno straccio di indizio. Una signora sulla cinquantina aveva visto il piccolo Martin in compagnia di una giovane ragazza molto carina. I due sembravano andare d’accordo e conoscersi molto bene, poi la signora aveva svoltato nella direzione opposta e non aveva più visto nulla. Jake allora si era diretto a casa di Martin per chiedere ad Eric se sapeva chi fosse la ragazza. Ascoltata la descrizione, Eric affermò di conoscerla, dicendo che era la babysitter di Martin. Jake si fece dare il numero e contattò la ragazza, informandola che avrebbero dovuto interrogarla in merito al rapimento del piccolo Martin. La giovane fu scioccata ma subito disponibile, comunicando che nei prossimi dieci minuti si sarebbe recata al Dipartimento di Polizia di Denkel.
Quando Jake pochi minuti dopo raggiunse il Dipartimento, la ragazza era già arrivata. Indossava dei pantaloncini e una semplice maglietta di cotone di colore viola. Osservandola Jake capì che la descrizione della signora era stata quasi perfetta. Il taglio di capelli, l’altezza, la corporatura, tutto. Era davvero molto bella. La ragazza si presentò come Michelle Finblue e Jake la invitò a seguirlo nel suo ufficio. Quando si furono accomodati entrambi il poliziotto iniziò con le domande. Michelle aveva fatto compagnia a Martin fino all’inizio della via in cui il piccolo abitava. Lei doveva trovarsi in palestra all’una e trenta quindi, quando aveva visto che mancavano solamente cinque minuti, aveva tirato dritto mettendosi a correre per non ritardare, mentre Martin aveva svoltato a destra. Non l’aveva accompagnato fino a sotto casa perché mancavano circa quattrocento metri e non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe potuto accadere qualcosa. La sua versione fu confermata dall’istruttore della Beauty & Strong Fitness Club dichiarando che, all’una e trenta, Michelle era arrivata in palestra.
Nel frattempo, nell’altro ufficio, Edward stava facendo entrare uno alla volta tutti i potenziali sospettati per interrogarli. Purtroppo per lui, ognuno di loro nel presunto momento in cui furono avvenuti i rapimenti si trovava sul posto di lavoro. Edward aveva contattato i loro capi che dopo aver controllato il cartellino delle presenze avevano confermato la loro versione. Edward aveva anche chiesto se, in qualche modo, fosse possibile uscire di nascosto. Magari chiedendo a qualche collega di timbrare al proprio posto. Tutti i datori risposero che era impossibile. Il procedimento prevedeva che il lavoratore si presentasse al lavoro col proprio tesserino, il quale veniva controllato da una guardia all’entrata che ne controllava l’autenticità e segnava sul palmare che il dipendente era giunto sul posto di lavoro. Una volta dentro, la persona raggiungeva il magazzino o l’ufficio di sua competenza e timbrava il cartellino con l’apposita macchina. Infine Edward aveva chiesto di poter avere i nomi di tutte le guardie per poterle incontrare, non potendo escludere che il complice potesse essere una di loro.
Lasciò andare gli interrogati e diede una rapida occhiata allo schedario delle guardie. Nessuna aveva precedenti penali di alcun tipo e due erano addirittura ex militari. Furono interrogate a turno e ognuna di loro negò di aver coperto l’assenza di un dipendente. Molte di loro avevano una nitida sincerità negli occhi, ma altre (forse per via dell’agitazione) sembrarono titubanti. Al calar della sera non c’erano stati progressi, così Edward decise di sospendere le ricerche fino all’indomani. Inoltre mise sotto sorveglianza la casa del signor Starris e la scuola elementare in modo da prevenire ulteriori omicidi o rapimenti.
Tornò a casa puntuale per cena e Iris era in cucina davanti ai fornelli. Iris andò incontro a suo marito e non mancò di notare che gli occhi di lui non erano mai stati così spenti e pensierosi come quella sera.
≪Che succede tesoro?≫
≪Oggi c’è stato un altro rapimento. Un bambino di nove anni. Ho interrogato almeno cinquanta persone e non ho nessun indizio.≫
≪Vedrai che si risolverà tutto. Tu sei infallibile ricordalo.≫
≪Lo so. Grazie amore mio.≫
La mattina dopo le ricerche continuarono e così la mattina ancora dopo e anche quella seguente. Sempre senza risultati. Il quarto giorno Edward si stava convincendo che forse sarebbe stato meglio chiedere l’intervento di forze speciali, ma il suo orgoglio ebbe il sopravvento e non lo fece. Decise di continuare da solo ancora per qualche tempo e se non fosse riuscito a trovare l’assassino, allora avrebbe chiesto aiuto alle forze speciali. I giorni successivi volarono, tra interrogatori e ricerche vane, fino a quando il settimo giorno non ricevette una nuova chiamata in piena notte.
Ho ucciso una persona. Venite al 34 di Larsen Street.
Una goccia di sudore scivolò per la spina dorsale di Edward, come un artiglio di ghiaccio. Rabbrividì. Sapeva già cosa avrebbe trovato in quella casa e tutto fu come aveva previsto.
Martin era seduto al bordo del letto e suo padre giaceva accanto a lui con la gola tagliata. Il sangue uscito dalla ferita aveva inzuppato tutte le coperte.
≪Salve. Ho ucciso l’uomo cattivo.≫
Edward non disse nulla, prese il piccolo e andarono subito alla centrale. Rimasero nel suo ufficio per un paio d’ore. La storia all’incirca fu la stessa. Il bambino disse di aver perso il padre e che il robot con la maschera si era preso cura di lui. L’unica differenza venne fuori quando Edward gli chiese delle mani. Quel “robot” aveva le mani, ma gli mancavano i piedi e per questo era costretto a stare su una sedia rotelle. Ad amputarglieli era stato il padre di Martin, così quando il robot gli aveva chiesto di ucciderlo lui l’aveva fatto. I controlli confermarono che anche il piccolo Martin era stato colpito di recente da un’amnesia.
Non ebbe nemmeno il tempo di prendere fiato che il telefono prese a squillare…