Primo Giorno
Ieri sera, quasi come ogni altra sera, ero seduto sullo sgabello di legno del Black Rose Pub, un locale a pochi minuti da casa mia, davanti a un buon boccale di birra. Come ho già accennato nelle prime pagine di questo diario (e non ho intenzione di ripetermi rischiando di dilungarmi o annoiarvi) stavo pensando di rinunciare al mio sogno di esploratore dell’occulto. Ero stufo.
L’avrei fatto davvero se non fosse stato per quello che accadde meno di due ore dopo.
Passeggiavo nella notte, osservando la mia ombra che si allungava sul marciapiede illuminato da vecchi lampioni che di sicuro hanno vissuto tempi migliori. Il locale si trovava in uno di quei vicoli angusti e poco illuminati. Stretto e tenebroso, in quell’arancione luce soffusa, sembrava uno di quei classici vicoli che nei film polizieschi diventano quasi sempre scene di un delitto. Qui, tuttavia, non era mai accaduto nulla di lontanamente simile.
L’aria leggera d’ottobre era gelida e annunciava che l’autunno aveva fretta di cedere il passo all’inverno. Si prospettava un inverno molto rigido. Ero quasi giunto a casa, avvolto nel mio cappotto marrone, vecchio e rovinato ma sempre caldo e confortevole, quando un uomo richiamò la mia attenzione. Nonostante il viso ben curato non dimostrasse più di quarant’anni la voce sembrava avere qualche secolo. Era un tono antico, ma piacevole. Sentivo le sue parole entrare nella mia mente come dolci carezze materne. E’ strano come qualcuno di estraneo a volte ci sembra così familiare. E lui era proprio così. Nonostante la temperatura fosse di poco sopra i cinque gradi, l’uomo indossava un elegante completo blu molto leggero, abbinato ad una cravatta rossa e delle scarpe di vernice lucida in tinta con la cravatta.
Parlammo per qualche minuto e io fui alquanto sbalordito dalle cose che sapeva quell’uomo su di me. Sapeva di tutte le mie ricerche e avventure, se così vogliamo chiamarle. Non volle dirmi le sue fonti. Mi disse che aveva sentito di una vecchia casa, dove sicuramente avrei trovato qualcosa di interessante. Sinceramente ancora adesso mi chiedo cosa, in quel momento, mi spinse a dare retta alle parole di un vecchio sconosciuto. Tuttavia lo feci. Presi nota dell’ubicazione della casa e il giorno dopo, cioè oggi, la raggiunsi.
Non so se il suo vero nome sia quello con cui si è presentato quella sera, ma nel caso fosse vero evitatelo. Quell’uomo e la fiducia che ispira nella gente sono frutto del male, come questa casa. Non penso sia un caso che lui ne conoscesse l’esistenza. Temo persino che sarà lui a ritrovare questi appunti per primo. Immagino quel suo volto giovane seppur centenario mentre ride in maniera sadica ed elegante leggendo queste parole. Posso vedere quei suoi denti brillanti come se fossero ancora davanti ai miei occhi. Quelle zanne, camuffate da denti. Brucerà il diario e sbatterà qualcun altro dentro questa fottuta casa. Non conosco il motivo per cui lo faccia. Non so nemmeno se ci sia un motivo o se si tratta solo del macabro hobby di uno che è schizzato fuori di mente.
Nonostante questo devo scrivere, devo mettere su carta i miei pensieri prima che divorino la mia mente con i loro denti. Speriamo che non sia lui a trovare queste pagine. Speriamo tocchi a qualcun altro.
Data l’impossibilità di sapere chi sta leggendo questa lettera dirò due cose:
1. Richard Lancaster, se sei tu che stai leggendo queste parole ti auguro di strozzarti con le risate che di sicuro ti starai facendo. Sei un folle che si diverte a giocare con le persone. Non so come sia possibile che questa casa esista, non so nemmeno se tu sia umano o no, ma so che se uscirò vivo di qui ti cercherò fino in capo al mondo e te le farò pagare.
2. Se invece non sei Richard, chiunque tu sia, stai lontano da quell’uomo. Non dare retta alle sue parole. Non mente, o no, lui è assolutamente sincero, ogni sua parola corrisponde alla realtà, ma la sua realtà è fatta di tenebre e chissà che altro. Prego Dio perché tu non debba mai fare la sua conoscenza.
Ora che ho finito con le spiegazioni del come e del perché mi trovo qua dentro, ti parlerò della casa.
…---… …---… …---… …---… …---…
La porta era aperta.
Non ho fatto in tempo nemmeno a fare due passi che eccola chiudersi da sola e bloccarsi. Ho provato a tirare e ritirare con tutte le mie forze ma non c’è stato nulla da fare. Non ci crederete, ma è come se questa casa, questa fottutissima casa assorba i rumori. Riesco a immaginarla mentre li mastica a bocca aperta con una bocca composta da siringhe. Non si sente nulla. Niente di niente. Me ne sono accorto nel momento in cui ho imprecato per via della porta. Dopo ho provato a gridare più volte. Sapete quella sensazione di angoscia e panico che proviamo negli incubi in cui gridiamo per cercare aiuto e non ci riusciamo? Perfetto. Qui è molto peggio. Sento le corde vocali tendersi e vibrare fino a infiammarsi, l’urlo cresce in gola, collerico e furioso e poi…silenzio.
Nel momento in cui apro la bocca per liberarlo scompare.
Il silenzio in questa stanza, come ho già detto, è assoluto. Persino i battiti del cuore e i respiri non fanno rumore.
In questo preciso istante, mentre stringo nella mia mano tremante la penna con cui scrivo queste parole, il terrore sta iniziando a scivolare all’interno delle mie vene.
Poco tempo fa, ho fatto un giro per la casa. Mi aggiravo cauto come un ladro, voltandomi in continuazione da ogni parte. Se ci fosse qualcuno in agguato non avrei modo di sentirlo arrivare. E’ magnificamente arredata con lussuosi mobili d’antiquariato. Sono così antichi e preziosi che credo non ci sia persona al mondo che possa metterne in dubbio il loro valore. L’illuminazione funziona alla perfezione, ed è l’unica fonte di luce. Non ci sono finestre. Un altro particolare è che non ci sono orologi. Fortunatamente ho sempre con me il mio cellulare. Non c’è campo, ma almeno potrà aiutarmi a non perdere la cognizione del tempo. Non che sia un grave danno rispetto al resto, però meglio un pensiero in meno che uno in più.
Nel grosso frigorifero della cucina c’è da mangiare e da bere per almeno una settimana. Che stronzata. Oltre a spaventato ora mi sento preso per il culo. Immagino Richard davanti a un megaschermo mentre guarda il suo reality show personalizzato.
Un’ombra. Ho visto un’ombra, cazzo. L’ho vista voltandomi all’improvviso, ma è subito svanita. Era come il segno lasciato dal fendente di una spada. Vado a controllare.
Nulla. Non c’è nulla. Forse è stato uno scherzo della mia immaginazione. Eppure…
Il display dell’orologio indica che è mezzanotte. E’ passata solo un’ora da quando sono qua dentro. E’ stata un’ora infinita. Il viaggio e l’angoscia mi hanno provato fortemente. Vorrei dormire, ma ho paura di farlo. Quell’ombra mi spaventa. Non sono sicuro fosse reale, ma il dubbio mi terrorizza.
Ho spostato il massiccio tavolo di mogano che c’è in salotto. Non crederete mai a quanto sia strano vedere quelle gambe legnose strisciare sul pavimento di marmo senza emettere alcun suono. L’ho portato nell’angolo opposto alle due porte, per sentirmi più al sicuro. Lo schienale della sedia è contro il muro alle mie spalle, mentre il tavolo mi fa da barricata. Da questa posizione posso tenere sotto controllo ogni entrata. Non esistendo i rumori, l’unico modo che ho per accorgermi delle cose è poterle vedere. Quindi spalle al muro e occhi aperti.
Ho perlustrato ancora una volta ogni stanza, ogni armadio, persino ogni cassetto.
Sono da solo in questa casa.
Ma quell’ombra…
L’avrei fatto davvero se non fosse stato per quello che accadde meno di due ore dopo.
Passeggiavo nella notte, osservando la mia ombra che si allungava sul marciapiede illuminato da vecchi lampioni che di sicuro hanno vissuto tempi migliori. Il locale si trovava in uno di quei vicoli angusti e poco illuminati. Stretto e tenebroso, in quell’arancione luce soffusa, sembrava uno di quei classici vicoli che nei film polizieschi diventano quasi sempre scene di un delitto. Qui, tuttavia, non era mai accaduto nulla di lontanamente simile.
L’aria leggera d’ottobre era gelida e annunciava che l’autunno aveva fretta di cedere il passo all’inverno. Si prospettava un inverno molto rigido. Ero quasi giunto a casa, avvolto nel mio cappotto marrone, vecchio e rovinato ma sempre caldo e confortevole, quando un uomo richiamò la mia attenzione. Nonostante il viso ben curato non dimostrasse più di quarant’anni la voce sembrava avere qualche secolo. Era un tono antico, ma piacevole. Sentivo le sue parole entrare nella mia mente come dolci carezze materne. E’ strano come qualcuno di estraneo a volte ci sembra così familiare. E lui era proprio così. Nonostante la temperatura fosse di poco sopra i cinque gradi, l’uomo indossava un elegante completo blu molto leggero, abbinato ad una cravatta rossa e delle scarpe di vernice lucida in tinta con la cravatta.
Parlammo per qualche minuto e io fui alquanto sbalordito dalle cose che sapeva quell’uomo su di me. Sapeva di tutte le mie ricerche e avventure, se così vogliamo chiamarle. Non volle dirmi le sue fonti. Mi disse che aveva sentito di una vecchia casa, dove sicuramente avrei trovato qualcosa di interessante. Sinceramente ancora adesso mi chiedo cosa, in quel momento, mi spinse a dare retta alle parole di un vecchio sconosciuto. Tuttavia lo feci. Presi nota dell’ubicazione della casa e il giorno dopo, cioè oggi, la raggiunsi.
Non so se il suo vero nome sia quello con cui si è presentato quella sera, ma nel caso fosse vero evitatelo. Quell’uomo e la fiducia che ispira nella gente sono frutto del male, come questa casa. Non penso sia un caso che lui ne conoscesse l’esistenza. Temo persino che sarà lui a ritrovare questi appunti per primo. Immagino quel suo volto giovane seppur centenario mentre ride in maniera sadica ed elegante leggendo queste parole. Posso vedere quei suoi denti brillanti come se fossero ancora davanti ai miei occhi. Quelle zanne, camuffate da denti. Brucerà il diario e sbatterà qualcun altro dentro questa fottuta casa. Non conosco il motivo per cui lo faccia. Non so nemmeno se ci sia un motivo o se si tratta solo del macabro hobby di uno che è schizzato fuori di mente.
Nonostante questo devo scrivere, devo mettere su carta i miei pensieri prima che divorino la mia mente con i loro denti. Speriamo che non sia lui a trovare queste pagine. Speriamo tocchi a qualcun altro.
Data l’impossibilità di sapere chi sta leggendo questa lettera dirò due cose:
1. Richard Lancaster, se sei tu che stai leggendo queste parole ti auguro di strozzarti con le risate che di sicuro ti starai facendo. Sei un folle che si diverte a giocare con le persone. Non so come sia possibile che questa casa esista, non so nemmeno se tu sia umano o no, ma so che se uscirò vivo di qui ti cercherò fino in capo al mondo e te le farò pagare.
2. Se invece non sei Richard, chiunque tu sia, stai lontano da quell’uomo. Non dare retta alle sue parole. Non mente, o no, lui è assolutamente sincero, ogni sua parola corrisponde alla realtà, ma la sua realtà è fatta di tenebre e chissà che altro. Prego Dio perché tu non debba mai fare la sua conoscenza.
Ora che ho finito con le spiegazioni del come e del perché mi trovo qua dentro, ti parlerò della casa.
…---… …---… …---… …---… …---…
La porta era aperta.
Non ho fatto in tempo nemmeno a fare due passi che eccola chiudersi da sola e bloccarsi. Ho provato a tirare e ritirare con tutte le mie forze ma non c’è stato nulla da fare. Non ci crederete, ma è come se questa casa, questa fottutissima casa assorba i rumori. Riesco a immaginarla mentre li mastica a bocca aperta con una bocca composta da siringhe. Non si sente nulla. Niente di niente. Me ne sono accorto nel momento in cui ho imprecato per via della porta. Dopo ho provato a gridare più volte. Sapete quella sensazione di angoscia e panico che proviamo negli incubi in cui gridiamo per cercare aiuto e non ci riusciamo? Perfetto. Qui è molto peggio. Sento le corde vocali tendersi e vibrare fino a infiammarsi, l’urlo cresce in gola, collerico e furioso e poi…silenzio.
Nel momento in cui apro la bocca per liberarlo scompare.
Il silenzio in questa stanza, come ho già detto, è assoluto. Persino i battiti del cuore e i respiri non fanno rumore.
In questo preciso istante, mentre stringo nella mia mano tremante la penna con cui scrivo queste parole, il terrore sta iniziando a scivolare all’interno delle mie vene.
Poco tempo fa, ho fatto un giro per la casa. Mi aggiravo cauto come un ladro, voltandomi in continuazione da ogni parte. Se ci fosse qualcuno in agguato non avrei modo di sentirlo arrivare. E’ magnificamente arredata con lussuosi mobili d’antiquariato. Sono così antichi e preziosi che credo non ci sia persona al mondo che possa metterne in dubbio il loro valore. L’illuminazione funziona alla perfezione, ed è l’unica fonte di luce. Non ci sono finestre. Un altro particolare è che non ci sono orologi. Fortunatamente ho sempre con me il mio cellulare. Non c’è campo, ma almeno potrà aiutarmi a non perdere la cognizione del tempo. Non che sia un grave danno rispetto al resto, però meglio un pensiero in meno che uno in più.
Nel grosso frigorifero della cucina c’è da mangiare e da bere per almeno una settimana. Che stronzata. Oltre a spaventato ora mi sento preso per il culo. Immagino Richard davanti a un megaschermo mentre guarda il suo reality show personalizzato.
Un’ombra. Ho visto un’ombra, cazzo. L’ho vista voltandomi all’improvviso, ma è subito svanita. Era come il segno lasciato dal fendente di una spada. Vado a controllare.
Nulla. Non c’è nulla. Forse è stato uno scherzo della mia immaginazione. Eppure…
Il display dell’orologio indica che è mezzanotte. E’ passata solo un’ora da quando sono qua dentro. E’ stata un’ora infinita. Il viaggio e l’angoscia mi hanno provato fortemente. Vorrei dormire, ma ho paura di farlo. Quell’ombra mi spaventa. Non sono sicuro fosse reale, ma il dubbio mi terrorizza.
Ho spostato il massiccio tavolo di mogano che c’è in salotto. Non crederete mai a quanto sia strano vedere quelle gambe legnose strisciare sul pavimento di marmo senza emettere alcun suono. L’ho portato nell’angolo opposto alle due porte, per sentirmi più al sicuro. Lo schienale della sedia è contro il muro alle mie spalle, mentre il tavolo mi fa da barricata. Da questa posizione posso tenere sotto controllo ogni entrata. Non esistendo i rumori, l’unico modo che ho per accorgermi delle cose è poterle vedere. Quindi spalle al muro e occhi aperti.
Ho perlustrato ancora una volta ogni stanza, ogni armadio, persino ogni cassetto.
Sono da solo in questa casa.
Ma quell’ombra…