Quinto Giorno
Sono ormai passati quattro giorni da quando mi trovo qui
dentro. Il tempo ormai sembra aver perso ogni filo logico e agire solo per sua
volontà. Alcune ore passano come secondi, altre come secoli. Il cellulare segna
che sono le dieci e un quarto di mattina, eppure mi sento già stanco come se
fossero le tre di notte. E, secondo quanto dice il telefono, sono sveglio da
poco più di due ore.
Quando questa mattina ho acceso il cellulare, gli occhi sono schizzati all’istante nell’angolo in alto a sinistra. La speranza che ci fosse campo è stata improvvisa e fulminea. Altrettanto velocemente è svanita.
La situazione diventa sempre più complicata, la totale assenza di rumori mi sta lentamente uccidendo. Solo il bussare di Richard Lancaster, quel toc-toc banale, due colpetti lievi e delicati, hanno rotto il silenzio assoluto che imprigiona queste mura. Stanotte prima di addormentarmi stavo ripensando a come fosse la mia vita prima di tutto ciò. A quei giorni rumorosi, nei quali mi rifugiavo ovunque in cerca di dolce silenzio, per starmene in pace. Ora capisco che il silenzio non è dolce. Il silenzio è atroce. E’ un mostro oscuro con zanne sanguigne che vive nutrendosi di suoni e rumori. Quanto mi mancano i rumori…persino i più fastidiosi. In questo momento sarei felice di sentire artigli di metallo strisciare su una lavagna.
La mia mente si sta sgretolando attimo dopo attimo, abbandonando la realtà per nascondersi dietro a suoni illusori. Suoni indescrivibili. Macabri e inquietanti.
Ogni tanto provo a gridare. Urlo più forte che posso, cercando di spezzare questa maledizione, ma non c’è nulla da fare. Sento le grida nascermi nella gola, le sento uscire dalla bocca, potenti ma silenziose. Come se nascessero, morte. E’ impossibile distruggere questo silenzio, o almeno lo è per me. Sarebbe più facile abbattere una porta blindata a sputi, ne sono sicuro.
Questa notte è successa una cosa strana.
Shelly Redbird, la ragazza che ha abitato (se così si può dire) qui dentro prima di me, è stata protagonista di un mio sogno, anche se sarebbe più giusto definirlo incubo.
Sedava accanto a me, così vicina che potevo sentirne i respiri sul collo e il profumo di camomilla emanato dai suoi capelli. Posò una mano sopra la mia, in modo dolce e gentile. Era la mano calda di una ragazza, non quella gelida di un’assassina. Sorrideva e anche il sorriso era dolce e colmo di gioventù. Eravamo seduti su una panchina, nel bel mezzo di un parco giochi. Gli olmi rompevano con le loro foglie la monotonia del cielo. C’erano una decina di bambini, probabilmente con un età compresa tra i sei e i dieci anni, intenti a giocare sugli scivoli e sulle altalene. Giocavano e correvano, vivaci e sorridenti. Quel sorriso lontano anni luce dalla bocca degli adulti, quel sorriso innocente di chi ancora non ha scoperto che la vita è una maledizione.
Era tutto bellissimo. Non sarebbe durato molto.
Shelly cominciò a parlarmi della sua vita, di come fosse cambiata all’improvviso, di Chi gliel’avesse cambiata all’improvviso. Parlava e parlava, ma nel frattempo continuava a guardarsi intorno. L’innocenza che le illuminava gli occhi fu sostituita da una cupa preoccupazione. Era come se qualcuno ci stesse spiando e lei se ne fosse accorta. Tuttavia continuò nel suo discorso. Parlò velocemente, trattenendo il fiato fino alla fine del discorso, come se stesse correndo contro il tempo. La preoccupazione nei suoi occhi divenne prima panico e poi terrore. Era stata trovata, lo capivo benissimo. Stava accennando qualcosa riguarda al ritorno di una torre, quando nell’aria del parco giochi tuonò una voce maschile. Calda e rassicurante, gelida e terrificante. Era la sua voce. La voce di Richard Lancaster.
Hai parlato fin troppo, mia cara. Ora saluta il tuo nuovo amico e… i tuoi cari…
Il sangue cominciò a sgorgarle fuori da ogni orifizio. Il sorriso si trasformò in un folle ghigno di dolore e urla lancinanti le scaturirono dalla gola. Una voce multipla, come migliaia di persone che gridano all’interno di un cinema. Mi rivolse un ultimo sguardo e fu proprio nei suoi occhi che trovai la conferma di quanto stava per avvenire. Occhi pieni di suppliche e dolore. Lo sguardo di qualcuno che sta per diventare un mostro, perdendo completamente la sua umanità e chiede ad un amico di ucciderlo fino a quando è ancora umano. Non riuscii a muovermi o a far nulla. Rimasi ad osservarla, pietrificato, mentre gridava e cadeva nell’abbraccio della follia, invocando il nome dei suoi figli.
Quello che avvenne dopo è stato troppo brutale per poterlo descrivere, ma prego il Signore che io possa presto dimenticarmi di quella scena. Di come lei…
Quando mi sono svegliato ricordavo ben poche cose di quelle che mi aveva detto Shelly in sogno. Ho memoria di lei che incontra un ragazzo all’età di 18 anni, di loro che si sposano e di lui che diventa un assassino e uccide i due figli. Nulla di nuovo, visto che le stesse informazioni mi erano state date da Richard Lancaster (possa lui marcire all’inferno) nella sua lettera. Una cosa nuova che ricordo è il fatto che lei ha accennato ad uno psicologo, da cui suo marito era in cura nel periodo in cui è impazzito. Possibile che lo psicologo non si sia accorto di nulla? Come potrebbe un esperto delle menti non accorgersi di una cosa tanto grave. E se fosse stato lo stesso psicologo ad indurlo a fare quello che poi ha fatto? Sfruttando le debolezze e le paure di quell’uomo? Nel secondo caso ho un’idea di chi possa essere stato il suo psicologo, anche se potrei tranquillamente chiamarla una certezza.
Ricordo anche che aveva accennato qualcosa riguardo alla scatola, una chiave e il ritorno di una torre, ma oltre ai soggetti della frase non ricordo molto altro. E’ come se il resto sia avvolto da una fitta nebbia che non mi permette di vedere oltre. Di vedere la verità, mi viene da pensare a questo punto.
.-.. .- … -.-. .- - --- .-.. .- -- .. -.-. …. .. .- -- .-
Un topo.
Sono sicuro di aver appena visto un topo passare in mezzo alla stanza. Forse i miei occhi saranno stanchi e la mia mente poco stabile, ma sono sicuro di ciò che ho visto, controllerò.
Proprio come pensavo, non mi sono sbagliato. C’è davvero un topo e sembra tranquillo, quasi addomesticato. Non ha paura di me, anzi sembra incuriosito. Il pelo grigio è lucido e ben curato e gli occhi sono molto vispi. Ho deciso di chiamarlo Spike, almeno mentalmente visto che con tutta probabilità non avrà mai la possibilità di sentire il nome che ho scelto per lui. Sempre che non ne abbia già uno.
Quello che tuttavia non capisco è come sia potuto arrivare qui. Stamattina, appena mi sono svegliato, ho controllato nei minimi dettagli ogni centimetro della casa. E posso giurare di non aver visto nessuna apertura. Niente di niente. Eppure se Spike ora è qui, da qualche parte deve essere arrivato. Che ci sia una specie di uscita, magari qualcosa di astrale invisibile agli umani, ma per qualche motivo visibile agli animali?
Ho letto molti articoli su internet che parlano delle capacità extra-sensoriali di alcuni animali. Cani che vedono i fantasmi, gatti che sentono l’arrivo della morte. Ho persino letto in un articolo che in Giappone usano le tortore come allarme per i terremoti.
Magari Spike potrà aiutarmi ad uscire da qui…
Quando questa mattina ho acceso il cellulare, gli occhi sono schizzati all’istante nell’angolo in alto a sinistra. La speranza che ci fosse campo è stata improvvisa e fulminea. Altrettanto velocemente è svanita.
La situazione diventa sempre più complicata, la totale assenza di rumori mi sta lentamente uccidendo. Solo il bussare di Richard Lancaster, quel toc-toc banale, due colpetti lievi e delicati, hanno rotto il silenzio assoluto che imprigiona queste mura. Stanotte prima di addormentarmi stavo ripensando a come fosse la mia vita prima di tutto ciò. A quei giorni rumorosi, nei quali mi rifugiavo ovunque in cerca di dolce silenzio, per starmene in pace. Ora capisco che il silenzio non è dolce. Il silenzio è atroce. E’ un mostro oscuro con zanne sanguigne che vive nutrendosi di suoni e rumori. Quanto mi mancano i rumori…persino i più fastidiosi. In questo momento sarei felice di sentire artigli di metallo strisciare su una lavagna.
La mia mente si sta sgretolando attimo dopo attimo, abbandonando la realtà per nascondersi dietro a suoni illusori. Suoni indescrivibili. Macabri e inquietanti.
Ogni tanto provo a gridare. Urlo più forte che posso, cercando di spezzare questa maledizione, ma non c’è nulla da fare. Sento le grida nascermi nella gola, le sento uscire dalla bocca, potenti ma silenziose. Come se nascessero, morte. E’ impossibile distruggere questo silenzio, o almeno lo è per me. Sarebbe più facile abbattere una porta blindata a sputi, ne sono sicuro.
Questa notte è successa una cosa strana.
Shelly Redbird, la ragazza che ha abitato (se così si può dire) qui dentro prima di me, è stata protagonista di un mio sogno, anche se sarebbe più giusto definirlo incubo.
Sedava accanto a me, così vicina che potevo sentirne i respiri sul collo e il profumo di camomilla emanato dai suoi capelli. Posò una mano sopra la mia, in modo dolce e gentile. Era la mano calda di una ragazza, non quella gelida di un’assassina. Sorrideva e anche il sorriso era dolce e colmo di gioventù. Eravamo seduti su una panchina, nel bel mezzo di un parco giochi. Gli olmi rompevano con le loro foglie la monotonia del cielo. C’erano una decina di bambini, probabilmente con un età compresa tra i sei e i dieci anni, intenti a giocare sugli scivoli e sulle altalene. Giocavano e correvano, vivaci e sorridenti. Quel sorriso lontano anni luce dalla bocca degli adulti, quel sorriso innocente di chi ancora non ha scoperto che la vita è una maledizione.
Era tutto bellissimo. Non sarebbe durato molto.
Shelly cominciò a parlarmi della sua vita, di come fosse cambiata all’improvviso, di Chi gliel’avesse cambiata all’improvviso. Parlava e parlava, ma nel frattempo continuava a guardarsi intorno. L’innocenza che le illuminava gli occhi fu sostituita da una cupa preoccupazione. Era come se qualcuno ci stesse spiando e lei se ne fosse accorta. Tuttavia continuò nel suo discorso. Parlò velocemente, trattenendo il fiato fino alla fine del discorso, come se stesse correndo contro il tempo. La preoccupazione nei suoi occhi divenne prima panico e poi terrore. Era stata trovata, lo capivo benissimo. Stava accennando qualcosa riguarda al ritorno di una torre, quando nell’aria del parco giochi tuonò una voce maschile. Calda e rassicurante, gelida e terrificante. Era la sua voce. La voce di Richard Lancaster.
Hai parlato fin troppo, mia cara. Ora saluta il tuo nuovo amico e… i tuoi cari…
Il sangue cominciò a sgorgarle fuori da ogni orifizio. Il sorriso si trasformò in un folle ghigno di dolore e urla lancinanti le scaturirono dalla gola. Una voce multipla, come migliaia di persone che gridano all’interno di un cinema. Mi rivolse un ultimo sguardo e fu proprio nei suoi occhi che trovai la conferma di quanto stava per avvenire. Occhi pieni di suppliche e dolore. Lo sguardo di qualcuno che sta per diventare un mostro, perdendo completamente la sua umanità e chiede ad un amico di ucciderlo fino a quando è ancora umano. Non riuscii a muovermi o a far nulla. Rimasi ad osservarla, pietrificato, mentre gridava e cadeva nell’abbraccio della follia, invocando il nome dei suoi figli.
Quello che avvenne dopo è stato troppo brutale per poterlo descrivere, ma prego il Signore che io possa presto dimenticarmi di quella scena. Di come lei…
Quando mi sono svegliato ricordavo ben poche cose di quelle che mi aveva detto Shelly in sogno. Ho memoria di lei che incontra un ragazzo all’età di 18 anni, di loro che si sposano e di lui che diventa un assassino e uccide i due figli. Nulla di nuovo, visto che le stesse informazioni mi erano state date da Richard Lancaster (possa lui marcire all’inferno) nella sua lettera. Una cosa nuova che ricordo è il fatto che lei ha accennato ad uno psicologo, da cui suo marito era in cura nel periodo in cui è impazzito. Possibile che lo psicologo non si sia accorto di nulla? Come potrebbe un esperto delle menti non accorgersi di una cosa tanto grave. E se fosse stato lo stesso psicologo ad indurlo a fare quello che poi ha fatto? Sfruttando le debolezze e le paure di quell’uomo? Nel secondo caso ho un’idea di chi possa essere stato il suo psicologo, anche se potrei tranquillamente chiamarla una certezza.
Ricordo anche che aveva accennato qualcosa riguardo alla scatola, una chiave e il ritorno di una torre, ma oltre ai soggetti della frase non ricordo molto altro. E’ come se il resto sia avvolto da una fitta nebbia che non mi permette di vedere oltre. Di vedere la verità, mi viene da pensare a questo punto.
.-.. .- … -.-. .- - --- .-.. .- -- .. -.-. …. .. .- -- .-
Un topo.
Sono sicuro di aver appena visto un topo passare in mezzo alla stanza. Forse i miei occhi saranno stanchi e la mia mente poco stabile, ma sono sicuro di ciò che ho visto, controllerò.
Proprio come pensavo, non mi sono sbagliato. C’è davvero un topo e sembra tranquillo, quasi addomesticato. Non ha paura di me, anzi sembra incuriosito. Il pelo grigio è lucido e ben curato e gli occhi sono molto vispi. Ho deciso di chiamarlo Spike, almeno mentalmente visto che con tutta probabilità non avrà mai la possibilità di sentire il nome che ho scelto per lui. Sempre che non ne abbia già uno.
Quello che tuttavia non capisco è come sia potuto arrivare qui. Stamattina, appena mi sono svegliato, ho controllato nei minimi dettagli ogni centimetro della casa. E posso giurare di non aver visto nessuna apertura. Niente di niente. Eppure se Spike ora è qui, da qualche parte deve essere arrivato. Che ci sia una specie di uscita, magari qualcosa di astrale invisibile agli umani, ma per qualche motivo visibile agli animali?
Ho letto molti articoli su internet che parlano delle capacità extra-sensoriali di alcuni animali. Cani che vedono i fantasmi, gatti che sentono l’arrivo della morte. Ho persino letto in un articolo che in Giappone usano le tortore come allarme per i terremoti.
Magari Spike potrà aiutarmi ad uscire da qui…