Sesto Giorno
Il sesto giorno è arrivato.
Questa notte, fortunatamente, sono riuscito a dormire quasi bene. Solo un paio d’incubi hanno turbato il mio sonno, ma nulla di grave. Ombre e spettri danzavano in giro per la casa, con bocche spalancate in ruggiti silenziosi. Cominciò a non aver più paura, ma ad essere preoccupato. Le scorte di frutta presenti nel frigo sono terminate ieri sera. L’acqua non è un problema, il lavandino funziona alla perfezione e l’acqua ha un buon sapore, ma è il cibo il vero problema. Al momento l’unica cosa mangiabile, oltre a me ovviamente, è Spike. L’idea non è delle migliori, ma mangiare le pagine dei libri potrebbe essere addirittura peggio. Ricordo di aver letto da qualche parte che la cellulosa contenuta nella carta fa da lassativo e allo stesso tempo da tappo. Non una bella sensazione direi. Per non parlare del rischio di avvelenamento derivante dai metalli pesanti contenuti nell’inchiostro.
Altrimenti c’è lei…
Quella comunissima scatola bianca, fottutissima scatola bianca, dall’aspetto così innocuo e invitante, come quelle confezioni per torte nelle pasticcerie di lusso. Il mio stomaco spererebbe che fosse davvero così. Aprirla e trovare all’interno una splendida torta con pan di spagna ripieno di crema chantilly, ricoperta di panna montata con guarnizione di cioccolato al latte e fragole. E perché no una bella scritta con gocce di cioccolato bianco che dice Buon Appetito Philip. Le probabilità che davvero sia così sono minime, oserei dire nulle. Sarebbe più probabile che il diavolo in persona si presentasse qui vestito da cameriere, con tante di menù fiammeggiante e succubi in lingerie di pizzo.
La verità è che non ho la minima idea di cosa possa esserci all’interno. Potrebbe anche essere vuota, per quel che ne so io, ma non credo. Ricordo benissimo la sensazione che mi è penetrata nelle vene, come se il sangue fosse diventato un denso e gelido veleno, quando l’ho sfiorata. Vibrava, l’ho sentita vibrare anche se solo per istante. Un brivido, leggero e sommesso e incomprensibile. Un tremito, come quando accarezzi delicatamente la pelle di una donna e lei si muove d’impulso, senza che tu capisca se le piace o le dà fastidio.
Poi c’è la lettera di Richard, dove dice che Shelly è uscita il settimo giorno dopo aver aperto il regalo che lui le aveva lasciato. Non ho dubbi riguardo a quale fosse il regalo. Ho dubbi sulla vera versione dei fatti.
Quando Shelly Redbird mi è apparsa in sogno, ha parlato della scatola, ma era visibilmente preoccupata. Non ho avuto la possibilità di capire se lo fosse per la scatola e per Richard. Parlava della scatola e di una torre. E’ proprio quando ha nominato al torre che Richard è intervenuto. Ma perché?
E di quale torre stava parlando?
Dubito si trattasse della Torre di Pisa, della Torre Eiffel o della Torre della pace di Osaka. Dubito proprio che fosse qualcosa di “normale”. Che la scatola sia un collegamento alla torre? E se lo fosse potrei poi uscire da lì o rimarrei imprigionato nella torre?
Ci sono troppi dubbi per poter essere tranquilli. Anche se non potrò sopravvivere ancora tantissimo qui dentro, non senza mangiare. Lo stomaco sta già protestando ora.
Spike. Lui in qualche modo è entrato e ora devo riuscire a comunicare con lei. Devo indurlo a portarmi all’uscita. Ammesso che ci sia stata un uscita e che ci sia ancora.
Merda.
Merda merda merda.
Ci è voluto un po’ a farmi capire da Spike, ma è già tanto che mi abbia capito e col senno di poi avrei preferito il contrario. Dopo aver corso in giro per tutta la casa, divertendosi come un ossesso, Spike si è diretto nella camera da letto. Quando sono entrato l’ho trovato seduto ad aspettarmi. I suoi occhi… no quelli non sono occhi da topo. Sono umani, ci posso giurare. Riuscivo a percepire l’anima, l’intelligenza, i pensieri e persino il cuore dentro quello sguardo. E non ho mai visto animali con occhi come quelli. Mi fissava, contento e intelligente. Era così simpatico il suo musino grigio. Dopo esser stato sicuro che la mia attenzione fosse rivolta tutta su di lui, corse dietro l’armadio. Un mobile antico, probabilmente dei primi dell’800 a giudicare dai piedi tondeggianti, in mogano chiaro con intarsi dorati. Non nel mio stile, assolutamente, ma molto elegante. E molto pesante. Spike continuava a entrare e uscire da sotto l’armadio. Lo spostai con calma, stando attento a non farlo cadere. E quando guardai dietro il sangue mi si congelò nelle vene.
La parete era squarciata. Tre graffi oscuri, lunghi circa cinquanta centimetri e larghi una decina, spezzavano il bianco del muro. Sembravano fessure per l’oltretomba. Spike mi guardò e corse verso uno di essi. Scomparve per qualche secondo prima di tornare indietro. Il primo pensiero che mi venne in mente, probabilmente il più stupido che potesse venirmi, fu che non sarei mai riuscito a passarci. Lui poteva, era un topolino grosso quanto il palmo della mia mano, ma io assolutamente no. Solo dopo, mi venne in mente la cosa più importante.
Chi poteva aver fatto quei graffi? Qualunque cosa sia stata doveva essere all’esterno, mi sembra improbabile, per non dire stupido, pensare che qualcuno sia entrato, abbia spostato l’armadio, lacerato il muro e poi rimesso a posto l’armadio. Questa è la realtà, non un film horror di serie C o la storiella banale di mostri che ci raccontavano i nostri genitori.
A meno che non ci siano sempre stati. Perché no, d'altronde non ho mai controllato dietro i mobili. Magari l’ombra che avevo visto il primo giorno è entrata da lì e poi è tornata fuori.
In tal caso potrebbe tornare.
La curiosità è davvero una brutta compagna. L’istinto mi dice di infilare la mano in una di quelle fessure oscure, per scoprire cosa c’è dall’altra parte. L’esterno o qualcos’altro di marcio? La paura c’è, è come infilare la mano in una scatola chiusa offertaci da qualche sconosciuto. Può contenere caramelle e cioccolatini, oppure ragni e scorpioni.
Spike, come se avesse letto i miei pensieri, torna dentro alla fessura e ne esce nuovamente. Lo fa una volta, due, tre, quasi volesse farmi capire che non c’è nulla da temere. Lentamente e titubante, infilò la mano dentro la fessura, fidandomi di Spike.
Aria. Un alito leggero di aria fresca mi sfiora la mano, con la dolcezza di un petalo di rosa, dandomi una sensazione di piacere. Pace. E’ come se per un istante avessi sfiorato la consistenza della gioia, come se la calma sia affluita dentro di me penetrando attraverso la pelle. Poi il panico.
Una mano forte e decisa agguanta la mia per il polso. L’istinto mi dice di tirarla indietro, ma non ci riesco. E’ come se una forza sovraumana la tenesse ferma. Riesco quasi a percepirla quella forza. Potrebbe sfondare la parete della casa con il mio corpo senza il minimo sforzo. Non ho alcun dubbio. Mi infila qualcosa in mano e la richiude, prima di spingerla verso l’interno con tanta forza da farmi cadere all’indietro.
E’ una lettera.
Caro Philip, da questa notte in poi, ogni notte, avrai visite. E non saranno tutte piacevoli come quella di Spike (l’hai chiamato così il topo, vero?). Vuoi un consiglio da un amico? Aprì la scatola. Non c’è una splendida torta con pan di spagna ripieno di crema chantilly, ricoperta di panna montata con guarnizione di cioccolato al latte e fragole e una bella scritta con gocce di cioccolato bianco che dice Buon Appetito Philip (perché è così che l’hai immaginata vero Philip?), ma credimi avrà un sapore nettamente migliore. Confido nella tua intelligenza.
Il Tuo Caro Amico
Richard Lancaster.
Questa notte, fortunatamente, sono riuscito a dormire quasi bene. Solo un paio d’incubi hanno turbato il mio sonno, ma nulla di grave. Ombre e spettri danzavano in giro per la casa, con bocche spalancate in ruggiti silenziosi. Cominciò a non aver più paura, ma ad essere preoccupato. Le scorte di frutta presenti nel frigo sono terminate ieri sera. L’acqua non è un problema, il lavandino funziona alla perfezione e l’acqua ha un buon sapore, ma è il cibo il vero problema. Al momento l’unica cosa mangiabile, oltre a me ovviamente, è Spike. L’idea non è delle migliori, ma mangiare le pagine dei libri potrebbe essere addirittura peggio. Ricordo di aver letto da qualche parte che la cellulosa contenuta nella carta fa da lassativo e allo stesso tempo da tappo. Non una bella sensazione direi. Per non parlare del rischio di avvelenamento derivante dai metalli pesanti contenuti nell’inchiostro.
Altrimenti c’è lei…
Quella comunissima scatola bianca, fottutissima scatola bianca, dall’aspetto così innocuo e invitante, come quelle confezioni per torte nelle pasticcerie di lusso. Il mio stomaco spererebbe che fosse davvero così. Aprirla e trovare all’interno una splendida torta con pan di spagna ripieno di crema chantilly, ricoperta di panna montata con guarnizione di cioccolato al latte e fragole. E perché no una bella scritta con gocce di cioccolato bianco che dice Buon Appetito Philip. Le probabilità che davvero sia così sono minime, oserei dire nulle. Sarebbe più probabile che il diavolo in persona si presentasse qui vestito da cameriere, con tante di menù fiammeggiante e succubi in lingerie di pizzo.
La verità è che non ho la minima idea di cosa possa esserci all’interno. Potrebbe anche essere vuota, per quel che ne so io, ma non credo. Ricordo benissimo la sensazione che mi è penetrata nelle vene, come se il sangue fosse diventato un denso e gelido veleno, quando l’ho sfiorata. Vibrava, l’ho sentita vibrare anche se solo per istante. Un brivido, leggero e sommesso e incomprensibile. Un tremito, come quando accarezzi delicatamente la pelle di una donna e lei si muove d’impulso, senza che tu capisca se le piace o le dà fastidio.
Poi c’è la lettera di Richard, dove dice che Shelly è uscita il settimo giorno dopo aver aperto il regalo che lui le aveva lasciato. Non ho dubbi riguardo a quale fosse il regalo. Ho dubbi sulla vera versione dei fatti.
Quando Shelly Redbird mi è apparsa in sogno, ha parlato della scatola, ma era visibilmente preoccupata. Non ho avuto la possibilità di capire se lo fosse per la scatola e per Richard. Parlava della scatola e di una torre. E’ proprio quando ha nominato al torre che Richard è intervenuto. Ma perché?
E di quale torre stava parlando?
Dubito si trattasse della Torre di Pisa, della Torre Eiffel o della Torre della pace di Osaka. Dubito proprio che fosse qualcosa di “normale”. Che la scatola sia un collegamento alla torre? E se lo fosse potrei poi uscire da lì o rimarrei imprigionato nella torre?
Ci sono troppi dubbi per poter essere tranquilli. Anche se non potrò sopravvivere ancora tantissimo qui dentro, non senza mangiare. Lo stomaco sta già protestando ora.
Spike. Lui in qualche modo è entrato e ora devo riuscire a comunicare con lei. Devo indurlo a portarmi all’uscita. Ammesso che ci sia stata un uscita e che ci sia ancora.
Merda.
Merda merda merda.
Ci è voluto un po’ a farmi capire da Spike, ma è già tanto che mi abbia capito e col senno di poi avrei preferito il contrario. Dopo aver corso in giro per tutta la casa, divertendosi come un ossesso, Spike si è diretto nella camera da letto. Quando sono entrato l’ho trovato seduto ad aspettarmi. I suoi occhi… no quelli non sono occhi da topo. Sono umani, ci posso giurare. Riuscivo a percepire l’anima, l’intelligenza, i pensieri e persino il cuore dentro quello sguardo. E non ho mai visto animali con occhi come quelli. Mi fissava, contento e intelligente. Era così simpatico il suo musino grigio. Dopo esser stato sicuro che la mia attenzione fosse rivolta tutta su di lui, corse dietro l’armadio. Un mobile antico, probabilmente dei primi dell’800 a giudicare dai piedi tondeggianti, in mogano chiaro con intarsi dorati. Non nel mio stile, assolutamente, ma molto elegante. E molto pesante. Spike continuava a entrare e uscire da sotto l’armadio. Lo spostai con calma, stando attento a non farlo cadere. E quando guardai dietro il sangue mi si congelò nelle vene.
La parete era squarciata. Tre graffi oscuri, lunghi circa cinquanta centimetri e larghi una decina, spezzavano il bianco del muro. Sembravano fessure per l’oltretomba. Spike mi guardò e corse verso uno di essi. Scomparve per qualche secondo prima di tornare indietro. Il primo pensiero che mi venne in mente, probabilmente il più stupido che potesse venirmi, fu che non sarei mai riuscito a passarci. Lui poteva, era un topolino grosso quanto il palmo della mia mano, ma io assolutamente no. Solo dopo, mi venne in mente la cosa più importante.
Chi poteva aver fatto quei graffi? Qualunque cosa sia stata doveva essere all’esterno, mi sembra improbabile, per non dire stupido, pensare che qualcuno sia entrato, abbia spostato l’armadio, lacerato il muro e poi rimesso a posto l’armadio. Questa è la realtà, non un film horror di serie C o la storiella banale di mostri che ci raccontavano i nostri genitori.
A meno che non ci siano sempre stati. Perché no, d'altronde non ho mai controllato dietro i mobili. Magari l’ombra che avevo visto il primo giorno è entrata da lì e poi è tornata fuori.
In tal caso potrebbe tornare.
La curiosità è davvero una brutta compagna. L’istinto mi dice di infilare la mano in una di quelle fessure oscure, per scoprire cosa c’è dall’altra parte. L’esterno o qualcos’altro di marcio? La paura c’è, è come infilare la mano in una scatola chiusa offertaci da qualche sconosciuto. Può contenere caramelle e cioccolatini, oppure ragni e scorpioni.
Spike, come se avesse letto i miei pensieri, torna dentro alla fessura e ne esce nuovamente. Lo fa una volta, due, tre, quasi volesse farmi capire che non c’è nulla da temere. Lentamente e titubante, infilò la mano dentro la fessura, fidandomi di Spike.
Aria. Un alito leggero di aria fresca mi sfiora la mano, con la dolcezza di un petalo di rosa, dandomi una sensazione di piacere. Pace. E’ come se per un istante avessi sfiorato la consistenza della gioia, come se la calma sia affluita dentro di me penetrando attraverso la pelle. Poi il panico.
Una mano forte e decisa agguanta la mia per il polso. L’istinto mi dice di tirarla indietro, ma non ci riesco. E’ come se una forza sovraumana la tenesse ferma. Riesco quasi a percepirla quella forza. Potrebbe sfondare la parete della casa con il mio corpo senza il minimo sforzo. Non ho alcun dubbio. Mi infila qualcosa in mano e la richiude, prima di spingerla verso l’interno con tanta forza da farmi cadere all’indietro.
E’ una lettera.
Caro Philip, da questa notte in poi, ogni notte, avrai visite. E non saranno tutte piacevoli come quella di Spike (l’hai chiamato così il topo, vero?). Vuoi un consiglio da un amico? Aprì la scatola. Non c’è una splendida torta con pan di spagna ripieno di crema chantilly, ricoperta di panna montata con guarnizione di cioccolato al latte e fragole e una bella scritta con gocce di cioccolato bianco che dice Buon Appetito Philip (perché è così che l’hai immaginata vero Philip?), ma credimi avrà un sapore nettamente migliore. Confido nella tua intelligenza.
Il Tuo Caro Amico
Richard Lancaster.