Settimo Giorno
Richard non mentiva. Non l’ha mai fatto in realtà. Nello stesso modo in cui era stato sincero quando mi disse della casa, lo è stato nella prima lettera che ho ricevuto e in quest’ultima. Undici semplici parole, una semplice verità, un grande incubo.
“Caro Philip, da questa notte in poi, ogni notte, avrai visite”
Avevo pensato fosse soltanto una stupida minaccia, una sorta di ricatto per indurmi ad aprire la scatola. Quel misterioso oggetto bianco ancora intatto in frigorifero. Inquietante come il vaso di Pandora. E invece no era tutto reale. Pura e semplice verità.
Come ogni sera, da quando sono entrato qui dentro, ero seduto dietro il grande tavolone adibito a barriera. La testa appoggiata sulle braccia incrociate. Spettri di oscuri pensieri turbinavano nella mia mente e la sensazione di quella solida stretta non voleva abbandonarmi il polso. In quel momento ero venuto a conoscenza di un’altra verità. Richard non poteva essere umano. Avrei potuto credere persino alla più assurda delle ipotesi, ma non al fatto che fosse umano. C’era una forza, una freddezza e una spietatezza nella sua presa che non posso descrivere.
Poi c’era il pensiero dello squarcio nel muro. Non è da escludere che sia stato proprio lui a farlo. Non mi stupirei affatto di saperlo capace di tanto o di vederlo comparire nella casa con artigli e denti aguzzi. Un vampiro. Perché no. Sembianze umane, voce vecchia di secoli a differenza dell’aspetto, forza sovraumana, altissime capacità di persuasione. Potrebbe benissimo essere così. Questo spiegherebbe anche il motivo del perché sia sempre venuto a farmi visita di notte e mai con la luce del sole.
Ho pensato anche a come poter uscire di qui. Non volevo morire di fame dentro a questa maledettissima casa. Non era giusto. Fin da quando ero piccolo, l’unica passione che ho avuto erano i racconti di Poe e Lovecraft. Non ho mai fatto del male a nessuno, ho sempre rispettato ed aiutato il prossimo. Possibile che il mio destino sia questo? No non può essere possibile. Non voglio credere che lo sia. Nessun Dio magnanimo e misericordioso permetterebbe questo. Troverò un modo per uscire, riprendere in mano la mia vita e dimenticarmi dell’accaduto. Ma non senza prima aver ucciso Richard. L’essere che ha giocato con me. Soffrirà, soffrirà come mai ha sofferto in vita sua. Dovrà implorarmi in ginocchio di mettere fine alla sua vita per far cessare con essa anche le sofferenze. E poi sentirà quanto sono roventi le fiamme dell’inferno.
La collera esplose momentaneamente in me. Urlai verso il cielo, scaraventando a terra ogni cosa presente sulla scrivania. I fogli planarono volteggiando nell’aria della stanza, prima di ricadere sul pavimento. Il rumore delle penne e dell’urlo non diedero il minimo segno della loro esistenza. Divorati dalla casa prima ancora di nascere. Cazzo. Persino sfogarsi è inutile. E’ frustrante questa situazione. Posso urlare, posso prendere a pugni gli oggetti, riversare la mia rabbia su ogni cosa, ma senza risultato. Il suono delle urla, il rumore secco delle sedie di legno che si spezzano, il frastuono acuto dei bicchieri di vetro che si infrangono contro la parete. Senza di loro, questi gesti sono inutili. Stavo veramente impazzendo.
Vedendomi nervoso Spike si avvicinò. Un comportamento strano, non c’è che dire, ma ormai non mi stupisco di più di niente. La sua vicinanza riportò la calma dentro di me. Lui non avevo colpe, almeno credo. Misi la mano sul pavimento e lui non si fece pregare, salendo su di essa. Il contatto delle zampette sul palmo, mi provocò il solletico, strappandomi un sorriso. Una nota positiva, finalmente. Lo posai sulla scrivania in disordine. Incrociai le braccia e vi riappoggiai la testa sopra, cercando di riposare. Ero molto stanco. Spike si coricò accanto al mio braccio. In quel momento le mie attenzioni erano tutte per lui. Sentivo il suo piccolo corpo gonfiarsi e sgonfiarsi ad ogni respiro. Ritmico, delicato e rilassante. I pensieri oscuri che aleggiano nella mia mente, cominciano a venire avvolti da un sottile velo bianco, come una leggera nebbia autunnale. Scompaiono piano piano, sopraffatti dalla stanchezza e sconfitti dal topolino con gli occhi vispi. Giusto per un momento, però. Perché solo mentre ci addormentiamo la mente abbandona le nostre preoccupazioni, rilassandosi e ritrovando quella pace che è troppo assente dalle nostre vite quotidiane. Poi nel sonno, ripesca le nostre preoccupazioni, le ansie e le paure. I sogni marciscono, infettati dall’oscurità, come un tumore. Marciscono e si deformano. I sorrisi diventano smorfie di dolore, le risate sfociano in diabolici attacchi d’ilarità e le voci risuonano come lamenti. I nostri cari appaiono lontani anni luce da noi, che corriamo nel tentativo di raggiungerli. Non serve. Quando arriviamo scopriamo di essere già stati rimpiazzati. Loro sorridono con qualcuno che puntualmente, come un maledetto scherzo del destino, odiamo dal profondo. L’affetto e l’allegria fanno da cornice alla sadicità di quella scena. Proviamo a chiamarli, invocando i loro nomi, ma è come se non esistessimo. La nostra voce raggiunge solo l’odiato intruso, l’unico a sapere della nostra presenza, che ci guarda con la coda dell’occhio sorridendo maligno. Ha vinto e gode della sua vittoria. Il panico e l’insicurezza si sostituiscono al sangue, circolando nelle nostre vene come veleno. Le nostre certezze crollano sotto il peso della paura di una vita in solitudine, seppellendo l’anima sotto detriti corrotti dal male e inumiditi dalle lacrime. La fede vacilla. I desideri si rivelano per quello che sono, mostri affamati che divorano i sogni con denti aguzzi e sanguigni. La mente cede e la luce della speranza muore. Infine solo tenebre.
E’ stato Spike a risvegliarmi dai miei incubi, gettandomi in un incubo ancora peggiore. Le tenebre che fino a quel momento appartenevano soltanto al mondo dei miei incubi si erano tramutate in realtà. Scivolavano lungo i muri della stanza, ramificandosi e moltiplicandosi all’infinito. Le pareti cominciavano a scomparire, nascoste da quell’essenza oscura nata dagli inferi. Presi Spike in braccio. Cercavo nel suo tepore corporeo un minimo di consolazione. Passavo la mano avanti e indietro sulla sua minuta schiena, accarezzandone il pelo grigio e liscio, cercando di concentrarmi su quella piacevole sensazione e dimenticandomi del resto. Per un po’ il tentativo ebbe successo. Almeno fino a quando non ci fu la vera visita. Le ombre avevano ormai ricoperto per intero la stanza, quando la luce cominciò a sfarfallare. Luce, buio, luce, buio. Ad ogni secondo di buio il cuore picchiava contro il petto con la forza di un gigante. Se non mi fossi calmato al più presto mi sarebbe schizzato fuori, cessando di pulsare sul pavimento della stanza. La luce tornò e in quel momento desiderai di vederla spegnersi nuovamente. Quello che i miei occhi videro fu indescrivibile. Fu come se tutte le malvagità, le perversioni e le brutalità commesse dall’uomo, dalla sua nascita fino ad ora, si fossero fuse insieme in un unico essere. Un agglomerato di corruzione e odio. Il corpo era composto da ogni cosa malata appartenente a questo mondo. Era come se tutto il marciume del mondo fosse stato masticato, sputato e poi modellato in quel modo informe e caotico. Un essere così ripugnante da far sembrare le terrificanti creature partorite dalla geniale mente di Lovecraft al pari di un tenerissimo cucciolo di gatto. La mia mente andò in frantumi come una lastra di cristallo che è appena stata colpita da un proiettile calibro cinquanta. I muscoli, i tendini e i nervi cominciarono ad agire per conto proprio, la vescica si svuotò. Sconvolto e terrorizzato com’ero comincia a stringere con forza le mani, dimenticandomi di Spike. Lui capendo il pericolo saltò sulla scrivania. Gli spasmi divennero sempre più frequenti e potenti.
Quell’’ammasso informe di odio e corruzione era enorme quanto lento. Avanza verso di me con una lentezza infinità e altrettanta solennità. Sapeva che non sarei mai riuscito a muovermi davanti al suo aspetto amorfo e che anche nel rarissimo, quasi unico, caso che ci fosse riuscito non avrei avuto alcuna via di fuga in quanto la sua mole occupava ben più di metà stanza. Motivo per cui poteva divertirsi a giocare con me, con i miei nervi. Mi sentivo prigioniero dell’angoscia e della morte, come il protagonista del racconto Il Pozzo e Il Pendolo di Poe. Osservano inerme quell’essere abominevole avanzare verso di me di pochi centimetri alla volta. Ad ogni passo il suo corpo si disfaceva e ricomponeva in modo del tutto diverso. Quando respirava veniva esalato dalla bocca un gas verdognolo, poi inalato dal naso col respiro successivo. Aveva un odore pestilenziale e venefico. Un misto di cenere, zolfo, carne in putrefazione, uova marce e aglio. Il mio corpo ormai non rispondeva più a nessun mio comando. Soltanto gli occhi mi permettevano ancora di guardarmi attorno. E’ strano come nel panico più assoluto ogni cosa sembri diversa. Ogni minimo dettaglio che fino al momento prima era catalogato con la scritta nera “inutile” in quei momenti diventa una via di fuga. Una scialuppa di salvataggio di cui la mente ha bisogno per non affondare nell’oceano profondo della follia e del terrore. Notai dettagli che solo fino a un secondo avrei pensato fossero impercettibili ai miei occhi. Un piccolo graffio sull’angolo lontano del mobiletto sotto il lavandino, un ragnetto di 2-3 millimetri che pendeva dal soffitto. Una minuscola goccia di sangue sul pavimento vicino al frigorifero. I miei occhi vagano su e giù per la stanza nel tentativo di evitare il contatto visivo con l’abominio. Spike era sulla scrivania, rilassato e con gli occhietti felici come sempre, quasi che lui non vedesse nulla di quello che stava accadendo. E se davvero fosse così? Se tutto fosse una mia allucinazione? No, impossibile. E’ troppo reale. Eppure a volte ci sono incubi che sembrano aver strappato quel velo magico che li separa dal mondo reale per venire a farci visita. Notai il ragno cadere dal filo, giusto un secondo prima che la luce scomparve.
In quel momento compresi quanto avessi avuto torto prima a desiderare di rimanere al buio. Il mio corpo si paralizzò all’improvviso. Non un singolo muscolo, nervo o tendine che vibrasse in alcun modo. Immobile e rigido come statua. Percepivo soltanto la pesantezza con cui il cuore picchiava sul petto e la difficoltà nel deglutire, come se la saliva fosse diventata di pietra. Gli occhi erano sbarrati e non davano l’impressione di volersi chiudere nemmeno per quell’involontario battito di ciglia. Il terrore cresceva a dismisura dentro di me, infettandomi corpo, anima e mente. Mi sentivo come una mosca nella ragnatela di un ragno enorme. L’assenza di rumori era poi il fattore principale di tutto il panico che mi scorreva nelle vene come acido muriatico. Non potevo udire né i respiri, né i passi, né i versi di quell’essere mostruoso. Avrebbe potuto accelerare all’improvviso, balzarmi addosso e sbranarmi. E io mi sarei accorto del pericolo solo quando i suoi denti fossero mi fossero penetrati nella carne e la bava viscida fosse colata sulla mia pelle. In quel momento sarebbe stato troppo tardi. C’era anche la remota possibilità che fosse scomparso nel nulla. In quel caso, inconsapevole di quale fosse la realtà dei fatti, sarei rimasto comunque in preda al panico. Ad ogni secondo che passava aumentava il terrore di non arrivare al secondo dopo. La tensione era insopportabile e crebbe a dismisura, fino a quando il concetto stesso di morte non divenne un concetto di salvezza. Morire sarebbe stato infinitamente meglio che vivere ancora un solo minuto in quello stato di immobilità e panico. Avrei accettato la morte e tutto ciò che essa comporta. Avrei pagato dazio per i miei errori, avrei espiato i miei peccati facendomi frustare da catene fiammeggianti o qualsiasi altra tortura. In quel momento si accese la luce.
L’ammasso informa che stava avanzando verso di me era scomparso, senza lasciare la minima traccia. Alla vista della stanza al suo stato naturale, il mio corpo cominciò a riprendere la normale funzionalità. La paralisi si sciolse e caddi sulle ginocchia. Ero stremato. Il peso della paura aveva sfinito i miei muscoli che ora non riuscivano più a sostenermi. I respiri accelerarono per recuperare l’ossigeno perso. Avrebbero fatto rumore, fuori di qui. Perle gelide di sudore corsero lungo la spina dorsale come un ago di ghiaccio. Era tutto passato, tutto finito. Almeno per il momento. Richard ha promesso che da questa notte in poi, ogni notte avrò delle visite. E, se questa era solo la prima, non voglio e non riesco nemmeno a immaginare cosa potrebbe accadere nelle notti seguenti. Non potevo assolutamente continuare in questo. Vivere così è peggio di qualsiasi morte.
Quando Spike vide che il mio comportamento era tornato quello di sempre tornò vicino a me. Richiamò la mia attenzione, picchiettandomi sul dorso della mano con le sue magre zampette, provocandomi ancora il solletico. Dopo essere stato certo di avere la mia attenzione, corse verso il frigorifero, come se avesse appena visto un pezzo di formaggio delizioso. Si fermò davanti ad esso, guardandomi e dimenandosi.
Osservai per qualche secondo il suo strano comportamento. Picchiettava con le zampine e con la testa sulla porta del frigorifero, in maniera frenetica ma simpatica. Sapevo benissimo cosa volesse dire, ma in quel momento desideravo solo osservarlo. Osservare quei gesti così buffi nella speranza di dimenticare l’orrore che avevo appena vissuto. Una speranza inutile. Solo la morte poteva cancellare quel ricordo. Solo la morte.
In quel momento mi tornò alla mente un’altra frase. Nella prima lettera Richard Lancaster aveva detto che Shelly Redbird era uscita dopo sette giorni. E dopo aver aperto il suo regalo.
Che anche lei al settimo giorno abbia ricevuto la mia stessa spiacevole visita?
E se anche lei avesse desiderato di morire dopo aver visto quell’orrore?
Non ne posso avere la certezza, ma nemmeno posso escludere che sia davvero andata in questo modo. D'altronde entrambi siamo stati parte del gioco di Richard e come ogni gioco segue un determinato schema. Forse era già stato programmato che se entro sette giorni non avessi aperto il “regalo” avrei ricevuto questa visita. E’ altrettanto probabile che Richard sappia che, qualunque persona sana di mente venga a conoscenza di un essere così abominevole abbracci la morte come sua salvatrice. Forse è proprio ciò che vuole o forse è solo un suo sadico scherzo, ma se conosco anche soltanto un po’ la mente sadica e malata di Richard, potrei aver capito cosa nasconde quella scatola.
Spike ha ragione, devo aprirla.
Ma prima mi rimane un ultima cosa da fare…
“Caro Philip, da questa notte in poi, ogni notte, avrai visite”
Avevo pensato fosse soltanto una stupida minaccia, una sorta di ricatto per indurmi ad aprire la scatola. Quel misterioso oggetto bianco ancora intatto in frigorifero. Inquietante come il vaso di Pandora. E invece no era tutto reale. Pura e semplice verità.
Come ogni sera, da quando sono entrato qui dentro, ero seduto dietro il grande tavolone adibito a barriera. La testa appoggiata sulle braccia incrociate. Spettri di oscuri pensieri turbinavano nella mia mente e la sensazione di quella solida stretta non voleva abbandonarmi il polso. In quel momento ero venuto a conoscenza di un’altra verità. Richard non poteva essere umano. Avrei potuto credere persino alla più assurda delle ipotesi, ma non al fatto che fosse umano. C’era una forza, una freddezza e una spietatezza nella sua presa che non posso descrivere.
Poi c’era il pensiero dello squarcio nel muro. Non è da escludere che sia stato proprio lui a farlo. Non mi stupirei affatto di saperlo capace di tanto o di vederlo comparire nella casa con artigli e denti aguzzi. Un vampiro. Perché no. Sembianze umane, voce vecchia di secoli a differenza dell’aspetto, forza sovraumana, altissime capacità di persuasione. Potrebbe benissimo essere così. Questo spiegherebbe anche il motivo del perché sia sempre venuto a farmi visita di notte e mai con la luce del sole.
Ho pensato anche a come poter uscire di qui. Non volevo morire di fame dentro a questa maledettissima casa. Non era giusto. Fin da quando ero piccolo, l’unica passione che ho avuto erano i racconti di Poe e Lovecraft. Non ho mai fatto del male a nessuno, ho sempre rispettato ed aiutato il prossimo. Possibile che il mio destino sia questo? No non può essere possibile. Non voglio credere che lo sia. Nessun Dio magnanimo e misericordioso permetterebbe questo. Troverò un modo per uscire, riprendere in mano la mia vita e dimenticarmi dell’accaduto. Ma non senza prima aver ucciso Richard. L’essere che ha giocato con me. Soffrirà, soffrirà come mai ha sofferto in vita sua. Dovrà implorarmi in ginocchio di mettere fine alla sua vita per far cessare con essa anche le sofferenze. E poi sentirà quanto sono roventi le fiamme dell’inferno.
La collera esplose momentaneamente in me. Urlai verso il cielo, scaraventando a terra ogni cosa presente sulla scrivania. I fogli planarono volteggiando nell’aria della stanza, prima di ricadere sul pavimento. Il rumore delle penne e dell’urlo non diedero il minimo segno della loro esistenza. Divorati dalla casa prima ancora di nascere. Cazzo. Persino sfogarsi è inutile. E’ frustrante questa situazione. Posso urlare, posso prendere a pugni gli oggetti, riversare la mia rabbia su ogni cosa, ma senza risultato. Il suono delle urla, il rumore secco delle sedie di legno che si spezzano, il frastuono acuto dei bicchieri di vetro che si infrangono contro la parete. Senza di loro, questi gesti sono inutili. Stavo veramente impazzendo.
Vedendomi nervoso Spike si avvicinò. Un comportamento strano, non c’è che dire, ma ormai non mi stupisco di più di niente. La sua vicinanza riportò la calma dentro di me. Lui non avevo colpe, almeno credo. Misi la mano sul pavimento e lui non si fece pregare, salendo su di essa. Il contatto delle zampette sul palmo, mi provocò il solletico, strappandomi un sorriso. Una nota positiva, finalmente. Lo posai sulla scrivania in disordine. Incrociai le braccia e vi riappoggiai la testa sopra, cercando di riposare. Ero molto stanco. Spike si coricò accanto al mio braccio. In quel momento le mie attenzioni erano tutte per lui. Sentivo il suo piccolo corpo gonfiarsi e sgonfiarsi ad ogni respiro. Ritmico, delicato e rilassante. I pensieri oscuri che aleggiano nella mia mente, cominciano a venire avvolti da un sottile velo bianco, come una leggera nebbia autunnale. Scompaiono piano piano, sopraffatti dalla stanchezza e sconfitti dal topolino con gli occhi vispi. Giusto per un momento, però. Perché solo mentre ci addormentiamo la mente abbandona le nostre preoccupazioni, rilassandosi e ritrovando quella pace che è troppo assente dalle nostre vite quotidiane. Poi nel sonno, ripesca le nostre preoccupazioni, le ansie e le paure. I sogni marciscono, infettati dall’oscurità, come un tumore. Marciscono e si deformano. I sorrisi diventano smorfie di dolore, le risate sfociano in diabolici attacchi d’ilarità e le voci risuonano come lamenti. I nostri cari appaiono lontani anni luce da noi, che corriamo nel tentativo di raggiungerli. Non serve. Quando arriviamo scopriamo di essere già stati rimpiazzati. Loro sorridono con qualcuno che puntualmente, come un maledetto scherzo del destino, odiamo dal profondo. L’affetto e l’allegria fanno da cornice alla sadicità di quella scena. Proviamo a chiamarli, invocando i loro nomi, ma è come se non esistessimo. La nostra voce raggiunge solo l’odiato intruso, l’unico a sapere della nostra presenza, che ci guarda con la coda dell’occhio sorridendo maligno. Ha vinto e gode della sua vittoria. Il panico e l’insicurezza si sostituiscono al sangue, circolando nelle nostre vene come veleno. Le nostre certezze crollano sotto il peso della paura di una vita in solitudine, seppellendo l’anima sotto detriti corrotti dal male e inumiditi dalle lacrime. La fede vacilla. I desideri si rivelano per quello che sono, mostri affamati che divorano i sogni con denti aguzzi e sanguigni. La mente cede e la luce della speranza muore. Infine solo tenebre.
E’ stato Spike a risvegliarmi dai miei incubi, gettandomi in un incubo ancora peggiore. Le tenebre che fino a quel momento appartenevano soltanto al mondo dei miei incubi si erano tramutate in realtà. Scivolavano lungo i muri della stanza, ramificandosi e moltiplicandosi all’infinito. Le pareti cominciavano a scomparire, nascoste da quell’essenza oscura nata dagli inferi. Presi Spike in braccio. Cercavo nel suo tepore corporeo un minimo di consolazione. Passavo la mano avanti e indietro sulla sua minuta schiena, accarezzandone il pelo grigio e liscio, cercando di concentrarmi su quella piacevole sensazione e dimenticandomi del resto. Per un po’ il tentativo ebbe successo. Almeno fino a quando non ci fu la vera visita. Le ombre avevano ormai ricoperto per intero la stanza, quando la luce cominciò a sfarfallare. Luce, buio, luce, buio. Ad ogni secondo di buio il cuore picchiava contro il petto con la forza di un gigante. Se non mi fossi calmato al più presto mi sarebbe schizzato fuori, cessando di pulsare sul pavimento della stanza. La luce tornò e in quel momento desiderai di vederla spegnersi nuovamente. Quello che i miei occhi videro fu indescrivibile. Fu come se tutte le malvagità, le perversioni e le brutalità commesse dall’uomo, dalla sua nascita fino ad ora, si fossero fuse insieme in un unico essere. Un agglomerato di corruzione e odio. Il corpo era composto da ogni cosa malata appartenente a questo mondo. Era come se tutto il marciume del mondo fosse stato masticato, sputato e poi modellato in quel modo informe e caotico. Un essere così ripugnante da far sembrare le terrificanti creature partorite dalla geniale mente di Lovecraft al pari di un tenerissimo cucciolo di gatto. La mia mente andò in frantumi come una lastra di cristallo che è appena stata colpita da un proiettile calibro cinquanta. I muscoli, i tendini e i nervi cominciarono ad agire per conto proprio, la vescica si svuotò. Sconvolto e terrorizzato com’ero comincia a stringere con forza le mani, dimenticandomi di Spike. Lui capendo il pericolo saltò sulla scrivania. Gli spasmi divennero sempre più frequenti e potenti.
Quell’’ammasso informe di odio e corruzione era enorme quanto lento. Avanza verso di me con una lentezza infinità e altrettanta solennità. Sapeva che non sarei mai riuscito a muovermi davanti al suo aspetto amorfo e che anche nel rarissimo, quasi unico, caso che ci fosse riuscito non avrei avuto alcuna via di fuga in quanto la sua mole occupava ben più di metà stanza. Motivo per cui poteva divertirsi a giocare con me, con i miei nervi. Mi sentivo prigioniero dell’angoscia e della morte, come il protagonista del racconto Il Pozzo e Il Pendolo di Poe. Osservano inerme quell’essere abominevole avanzare verso di me di pochi centimetri alla volta. Ad ogni passo il suo corpo si disfaceva e ricomponeva in modo del tutto diverso. Quando respirava veniva esalato dalla bocca un gas verdognolo, poi inalato dal naso col respiro successivo. Aveva un odore pestilenziale e venefico. Un misto di cenere, zolfo, carne in putrefazione, uova marce e aglio. Il mio corpo ormai non rispondeva più a nessun mio comando. Soltanto gli occhi mi permettevano ancora di guardarmi attorno. E’ strano come nel panico più assoluto ogni cosa sembri diversa. Ogni minimo dettaglio che fino al momento prima era catalogato con la scritta nera “inutile” in quei momenti diventa una via di fuga. Una scialuppa di salvataggio di cui la mente ha bisogno per non affondare nell’oceano profondo della follia e del terrore. Notai dettagli che solo fino a un secondo avrei pensato fossero impercettibili ai miei occhi. Un piccolo graffio sull’angolo lontano del mobiletto sotto il lavandino, un ragnetto di 2-3 millimetri che pendeva dal soffitto. Una minuscola goccia di sangue sul pavimento vicino al frigorifero. I miei occhi vagano su e giù per la stanza nel tentativo di evitare il contatto visivo con l’abominio. Spike era sulla scrivania, rilassato e con gli occhietti felici come sempre, quasi che lui non vedesse nulla di quello che stava accadendo. E se davvero fosse così? Se tutto fosse una mia allucinazione? No, impossibile. E’ troppo reale. Eppure a volte ci sono incubi che sembrano aver strappato quel velo magico che li separa dal mondo reale per venire a farci visita. Notai il ragno cadere dal filo, giusto un secondo prima che la luce scomparve.
In quel momento compresi quanto avessi avuto torto prima a desiderare di rimanere al buio. Il mio corpo si paralizzò all’improvviso. Non un singolo muscolo, nervo o tendine che vibrasse in alcun modo. Immobile e rigido come statua. Percepivo soltanto la pesantezza con cui il cuore picchiava sul petto e la difficoltà nel deglutire, come se la saliva fosse diventata di pietra. Gli occhi erano sbarrati e non davano l’impressione di volersi chiudere nemmeno per quell’involontario battito di ciglia. Il terrore cresceva a dismisura dentro di me, infettandomi corpo, anima e mente. Mi sentivo come una mosca nella ragnatela di un ragno enorme. L’assenza di rumori era poi il fattore principale di tutto il panico che mi scorreva nelle vene come acido muriatico. Non potevo udire né i respiri, né i passi, né i versi di quell’essere mostruoso. Avrebbe potuto accelerare all’improvviso, balzarmi addosso e sbranarmi. E io mi sarei accorto del pericolo solo quando i suoi denti fossero mi fossero penetrati nella carne e la bava viscida fosse colata sulla mia pelle. In quel momento sarebbe stato troppo tardi. C’era anche la remota possibilità che fosse scomparso nel nulla. In quel caso, inconsapevole di quale fosse la realtà dei fatti, sarei rimasto comunque in preda al panico. Ad ogni secondo che passava aumentava il terrore di non arrivare al secondo dopo. La tensione era insopportabile e crebbe a dismisura, fino a quando il concetto stesso di morte non divenne un concetto di salvezza. Morire sarebbe stato infinitamente meglio che vivere ancora un solo minuto in quello stato di immobilità e panico. Avrei accettato la morte e tutto ciò che essa comporta. Avrei pagato dazio per i miei errori, avrei espiato i miei peccati facendomi frustare da catene fiammeggianti o qualsiasi altra tortura. In quel momento si accese la luce.
L’ammasso informa che stava avanzando verso di me era scomparso, senza lasciare la minima traccia. Alla vista della stanza al suo stato naturale, il mio corpo cominciò a riprendere la normale funzionalità. La paralisi si sciolse e caddi sulle ginocchia. Ero stremato. Il peso della paura aveva sfinito i miei muscoli che ora non riuscivano più a sostenermi. I respiri accelerarono per recuperare l’ossigeno perso. Avrebbero fatto rumore, fuori di qui. Perle gelide di sudore corsero lungo la spina dorsale come un ago di ghiaccio. Era tutto passato, tutto finito. Almeno per il momento. Richard ha promesso che da questa notte in poi, ogni notte avrò delle visite. E, se questa era solo la prima, non voglio e non riesco nemmeno a immaginare cosa potrebbe accadere nelle notti seguenti. Non potevo assolutamente continuare in questo. Vivere così è peggio di qualsiasi morte.
Quando Spike vide che il mio comportamento era tornato quello di sempre tornò vicino a me. Richiamò la mia attenzione, picchiettandomi sul dorso della mano con le sue magre zampette, provocandomi ancora il solletico. Dopo essere stato certo di avere la mia attenzione, corse verso il frigorifero, come se avesse appena visto un pezzo di formaggio delizioso. Si fermò davanti ad esso, guardandomi e dimenandosi.
Osservai per qualche secondo il suo strano comportamento. Picchiettava con le zampine e con la testa sulla porta del frigorifero, in maniera frenetica ma simpatica. Sapevo benissimo cosa volesse dire, ma in quel momento desideravo solo osservarlo. Osservare quei gesti così buffi nella speranza di dimenticare l’orrore che avevo appena vissuto. Una speranza inutile. Solo la morte poteva cancellare quel ricordo. Solo la morte.
In quel momento mi tornò alla mente un’altra frase. Nella prima lettera Richard Lancaster aveva detto che Shelly Redbird era uscita dopo sette giorni. E dopo aver aperto il suo regalo.
Che anche lei al settimo giorno abbia ricevuto la mia stessa spiacevole visita?
E se anche lei avesse desiderato di morire dopo aver visto quell’orrore?
Non ne posso avere la certezza, ma nemmeno posso escludere che sia davvero andata in questo modo. D'altronde entrambi siamo stati parte del gioco di Richard e come ogni gioco segue un determinato schema. Forse era già stato programmato che se entro sette giorni non avessi aperto il “regalo” avrei ricevuto questa visita. E’ altrettanto probabile che Richard sappia che, qualunque persona sana di mente venga a conoscenza di un essere così abominevole abbracci la morte come sua salvatrice. Forse è proprio ciò che vuole o forse è solo un suo sadico scherzo, ma se conosco anche soltanto un po’ la mente sadica e malata di Richard, potrei aver capito cosa nasconde quella scatola.
Spike ha ragione, devo aprirla.
Ma prima mi rimane un ultima cosa da fare…