SINOSSI
Eddie ha un sogno, come ogni bambino. Sogna di poter passare una splendida giornata in compagni della madre al Parco Divertimenti di Eagle Park.
Quello che Eddie sa è che sua madre gli ha promesso di realizzare il suo sogno alla prima occasione. Di rendere quella giornata unica e speciale. Trasformarla in uno di quei ricordi che sono immuni allo scorrere del tempo. Un frammento di felicità custodito nell’abbraccio segreto dell’anima.
Quello che Eddie non sa è che quel sogno si tramuterà nel suo peggior incubo. Quel frammento di felicità diverrà un parassita oscuro divoratore di anime.
Un ricordo terrificante, marcio e immune al tempo che scorre inesorabile.
Un ricordo indelebile.
Quello che Eddie sa è che sua madre gli ha promesso di realizzare il suo sogno alla prima occasione. Di rendere quella giornata unica e speciale. Trasformarla in uno di quei ricordi che sono immuni allo scorrere del tempo. Un frammento di felicità custodito nell’abbraccio segreto dell’anima.
Quello che Eddie non sa è che quel sogno si tramuterà nel suo peggior incubo. Quel frammento di felicità diverrà un parassita oscuro divoratore di anime.
Un ricordo terrificante, marcio e immune al tempo che scorre inesorabile.
Un ricordo indelebile.
PRIMO ESTRATTO
RITORNO A CASA
1
Quando le lancette formarono la I che indicava le sei, Rachel e il piccolo si stavano recando al parcheggio. Pochi metri prima di arrivare all’automobile Rachel tirò fuori dalla tasca il suo mazzo di chiavi e premette il bottone grigio sul telecomando.
Per la prima parte del viaggio i due dialogarono scambiandosi le loro opinioni sulle varie giostre e sui molteplici momenti della giornata. Eddie aveva apprezzato le montagne russe, sua madre invece aveva preferito le attrazioni “acquatiche”. Entrambi erano rimasti molto soddisfatti dal pranzo. Dopo un’ora buona di chiacchierata, quando i due erano quasi a circa mezz’ora da casa, calò il silenzio.
Fu soprattutto per la stanchezza, ma anche un po’ il fatto che la meravigliosa giornata era giunta al termine. Dopo qualche minuto Eddie accese l’autoradio e nell’arco di neanche un quarto d’ora, si addormentò.
Nel momento in cui il piccolo precipitò negli abissi oscuri del sonno, alla radio stava passando una vecchia canzone country. Parlava di un giovane cowboy che era partito, insieme al suo cavallo e alla sua Colt, per salvare la sua bella da un gruppo di banditi.
Rachel distolse per un secondo lo sguardo dalla strada per cambiare stazione.
Non le era mai piaciuta la musica country, suo marito aveva provato a farle ascoltare diverse e canzoni e molteplici gruppi, ma nessuno di questi era riuscito a soddisfare i suoi difficile gusti musicali. A lei piacevano poco le voci maschili. L’unica voce maschile che riusciva ad apprezzare era quella del grande Frank Sinatra.
Rachel aveva appena premuto il pulsante per cambiare stazione radio quando all’improvviso ci fu un boato tremendo.
2
James Bougard era poco più alto di un metro e settanta, con corti capelli neri e quella che si può definire una delle più classiche pance da birra.
Aveva trent’anni anche se il suo viso ne dimostrava quasi una ventina d’anni in più per via delle profonde rughe e il colorito pallido.
Di professione faceva il camionista. Fino a qualche anno prima aveva una moglie, una gran bella moglie, che poi se n’era andata con un avvocato pieno di soldi. Lui aveva tentato in tutti i modi di trattenerla, ma non c’era stato verso. Il fascino e la fama dell’avvocato erano un nemico troppo ostile per un uomo come lui. Lei se n’era andata e l’aveva lasciato solo nella loro piccola casa, che ora mostrava più che mai l’assenza di una donna. Pavimenti sporchi, piatti da lavare, vestiti sparsi ovunque. Non che la donna abbia il dovere di tenere il tutto in ordine, ma una donna sa come rendere un uomo più ordinato.
A James era sempre piaciuto bere, non si era mai negato il piacere di una birra o di un doppio whisky, ma non l’aveva mai fatto sul lavoro. Era cosciente del fatto che fosse pericoloso, soprattutto considerato il fatto che lui non guidava una semplice macchina ma un camion, quindi si concedeva un goccetto solo quando era arrivato a casa. Dopo che la sua Jasmine se n’era andata il goccetto si era trasformato in una sbronza.
In questo momento stava viaggiando sulla Route 619 a bordo del suo colossale Kenworth W900.
Dopo tutto il caldo torrido della giornata, la voglia di una bella birra fresca gli pesava in gola come un macigno e più il peso aumentava e maggiore era la pressione del suo piede sull’acceleratore.
Il tachimetro stava per raggiungere le cento miglia orarie.
Il piacere che s’immaginava era così grande che presto iniziò a farsi sentire anche nella zona del pube (complice anche l’astinenza che durava ormai da un anno), così James alzò lo sguardo sull’immagine della focosa ragazza che posava nuda sul suo calendario, senza lasciare nemmeno un millimetro di pelle all’immaginazione, mentre si strofinava una mano sui calzoni.
Il mostro metallico stava per intraprendere l’unica curva con scarsa visibilità di tutta la Route 619, non perché fosse particolarmente stretta, ma per gli alberi a bordo strada che infastidivano parecchio la visuale. James pensò che era inutile rallentare quando bastava allargarla un po’, pensiero dovuto anche in parte al fatto che la mano che doveva occuparsi del cambio si stava occupando di un’altra “leva”. Con l’unica mano che teneva il volante, sterzò lievemente portando verso l’esterno il colosso per poi affrontare la curva. Quando vide la Cadillac blu che giungeva sull’altra corsia (che viaggiava a velocità altrettanto elevata) era troppo tardi. Piantò il piede sul freno nel tentativo di limitare seppur di poco la forza dell’impatto, ma lo spazio era poco e la velocità troppa. Sterzò nel tentativo di schivare l’automobile e ci sarebbe riuscito se non avesse avuto il rimorchio. Fu proprio quello che colpì la Cadillac.
3
Anche per Rachel fu troppo tardi, diede un rapido colpo allo sterzo nel tentativo di schivare il camion, ma non fu abbastanza. Riuscì solamente a spostare l’impatto sulla fiancata dell’auto invece che sul lato frontale. Il rimorchio le arrivò addosso come una fiondata.
L’impatto fu di una potenza orribile.
Un frastuono metallico scoppiò nell’aria con una ferocia indescrivibile e i contadini che stavano lavorando nei campi a fianco della Route 619 si ritrovarono con il cuore in gola per lo spavento. Tuttavia non esitarono un secondo ad accorrere a vedere e chiamare i soccorsi.
La Cadillac fu colpita più verso la parte posteriore. La forza dell’impatto la fece girare su se stessa di trecentosessanta gradi e poi iniziò a piroettare come se fosse un acrobata del circo. Le lamiere si piegavano sempre di più a ogni colpo, lasciando piccole chiazze di vernice blu sul manto stradale e formando scintille, che danzavano nell’aria come piccole lucciole. Il parabrezza formò una ragnatela di crepature e infine esplose in una pioggia di frammenti cristallini. I suoni e i rumori si facevano sempre più incomprensibili e distanti, le immagini diventavano sempre più confuse e sfocate, il mondo prese a girare intorno a loro in maniera sempre più violenta. Dopo qualche secondo di piroette la macchina iniziò a frenare la sua macabra performance acrobatica in una lunga strisciata. Le lamiere stridevano come artigli affilati sulla nera grafite di una lavagna, mentre altre lucciole presero vita dalla carrozzeria deforme e iniziarono una nuova danza. Superò il manto stradale finendo capovolta in uno dei campi adiacenti.
Rachel fece appena in tempo a capire quello che stava accadendo prima che i suoi sensi la abbandonassero completamente. Eddie non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersi conto di essersi svegliato prima che i rumori e le vorticose immagini furono sostituite da un nero piatto e silenzioso.
La Route 619 a quell’ora (che per loro sarebbe diventata un’ora maledetta) era poco trafficata. Al momento dell’incidente non stava transitando nessun’altra vettura. La prima passò un paio di minuti dopo e si fermò a osservare l’accaduto. James prese il telefono per chiamare i soccorsi, ignaro del fatto che erano già stati chiamati. In cinque minuti arrivarono a sirene spiegate tre ambulanze, un camion dei pompieri e due volanti della polizia. Le macchine che arrivarono in seguito furono fermate e invitate ad aspettare dai poliziotti. La gente scendeva dalle vetture e osservava incuriosita la scena.
L’immensa confusione formatasi intorno al luogo dove la loro Cadillac si era fermata, fece riprendere i sensi al piccolo Eddie. Il suono acuto delle sirene gli trafisse i timpani come una stalattite di ghiaccio. Fu un rumore così forte che d’istinto chiuse gli occhi e tentò di portarsi le mani alle orecchie per proteggerle. Nel tentativo il suo costato era pervaso da un dolore straziante. Quel lacerante dolore riportò nitidezza nella sua mente confusa facendogli prendere atto della situazione. La prima cosa che notò era la visuale. Solo ora si rese conto che il mondo era sottosopra e che lui era sorretto dalle cinture di sicurezza. Le sirene non erano l’unico rumore anche se erano di sicuro il più forte. Udiva anche delle voci. Molte voci. Poi pensò a sua madre e si voltò rapidamente per vedere in quali condizioni versasse.
Il ricordo di ciò che vide sarebbe rimasto con lui per tutta la sua vita.
4
Rachel era tenuta appesa al sedile dalla cintura di sicurezza, con la testa ruotata verso di lui, penzolante in una posizione innaturale. Un pezzo di lamiera blu, si era spaccato e le si era conficcato in bocca squarciandole la guancia sinistra e frantumandole la mascella. Gli occhi erano spalancati in una nauseante espressione di terrore e dolore puro.
I pompieri, che di lì a poco l’avrebbero vista, avrebbero subito immaginato la sofferenza che aveva provato la povera Rachel in quel momento.
Il sangue le sgorgava a fiumi dalla bocca, scivolando lungo la lamiera e inzuppandole tutti i capelli che, più che lisci e sottili raggi di sole, ora sembravano lunghe vene sanguinanti. Osservando bene si poteva notare che a causa dei capelli gocciolanti e delle altre ferite, nella capotta della Cadillac (che ormai era più simile a un cubo che a una tre volumi) si stava iniziando a formare un’orribile pozza di sangue e saliva. La lingua e i denti di Rachel giacevano lì insieme con alcuni lembi di pelle.
Il percorso che fece quella visione orripilante, non fu lo stesso che compie qualsiasi altra immagine. Questa arrivò dritta allo stomaco come un macigno caduto da un grattacielo. È facile immaginare lo shock di un bambino di soli undici anni che vede la propria madre in una condizione come quella. Eddie, come prima reazione pianse e gridò, poi cominciò ad avere delle convulsioni e a vomitare. Se non fosse stato per il fatto che anche lui si trovava appeso a testa in giù, probabilmente avrebbe potuto finire col soffocarsi. Per via dei movimenti bruschi, dovuti alla crisi convulsiva, sparò il vomito a getti aggiungendo dell’altro schifo a quel laghetto che era già estremamente disgustoso. Minuscole gocce verdastre si sparsero in ogni direzione. Quella che fino a qualche minuto prima era una Cadillac di una certa eleganza, ora era un mucchio di lamiere sanguinanti che puzzavano di morte e marciume.
Nel frattempo, i pompieri avevano recuperato l’attrezzatura e iniziato a tagliare la lamiera per liberare Eddie e Rachel da quell’inferno. Eddie registrò inconsciamente il rumore stridulo e metallico della sega circolare che iniziava il suo compito, durante il suo attacco di convulsioni, in seguito al quale perse per la seconda volta i sensi. I pompieri estrassero i corpi dalla Cadillac. Come previsto furono inorriditi alla vista delle condizioni di Rachel e si scambiarono rapide occhiate piene di compassione.
La gente più sensibile (nonostante fossero tenuti a distanza dalla polizia alcuni riuscirono a vedere la scena) iniziò a vomitare e svenire alla vista di quel macabro spettacolo crudelmente offerto dalla Route 619. Dopo aver accertato la morte di Rachel, non che ci fossero dubbi a riguardo ma a volte i miracoli accadono, passarono a Eddie e, tornando alla teoria dei miracoli, constatarono che uno era avvenuto.
1
Quando le lancette formarono la I che indicava le sei, Rachel e il piccolo si stavano recando al parcheggio. Pochi metri prima di arrivare all’automobile Rachel tirò fuori dalla tasca il suo mazzo di chiavi e premette il bottone grigio sul telecomando.
Per la prima parte del viaggio i due dialogarono scambiandosi le loro opinioni sulle varie giostre e sui molteplici momenti della giornata. Eddie aveva apprezzato le montagne russe, sua madre invece aveva preferito le attrazioni “acquatiche”. Entrambi erano rimasti molto soddisfatti dal pranzo. Dopo un’ora buona di chiacchierata, quando i due erano quasi a circa mezz’ora da casa, calò il silenzio.
Fu soprattutto per la stanchezza, ma anche un po’ il fatto che la meravigliosa giornata era giunta al termine. Dopo qualche minuto Eddie accese l’autoradio e nell’arco di neanche un quarto d’ora, si addormentò.
Nel momento in cui il piccolo precipitò negli abissi oscuri del sonno, alla radio stava passando una vecchia canzone country. Parlava di un giovane cowboy che era partito, insieme al suo cavallo e alla sua Colt, per salvare la sua bella da un gruppo di banditi.
Rachel distolse per un secondo lo sguardo dalla strada per cambiare stazione.
Non le era mai piaciuta la musica country, suo marito aveva provato a farle ascoltare diverse e canzoni e molteplici gruppi, ma nessuno di questi era riuscito a soddisfare i suoi difficile gusti musicali. A lei piacevano poco le voci maschili. L’unica voce maschile che riusciva ad apprezzare era quella del grande Frank Sinatra.
Rachel aveva appena premuto il pulsante per cambiare stazione radio quando all’improvviso ci fu un boato tremendo.
2
James Bougard era poco più alto di un metro e settanta, con corti capelli neri e quella che si può definire una delle più classiche pance da birra.
Aveva trent’anni anche se il suo viso ne dimostrava quasi una ventina d’anni in più per via delle profonde rughe e il colorito pallido.
Di professione faceva il camionista. Fino a qualche anno prima aveva una moglie, una gran bella moglie, che poi se n’era andata con un avvocato pieno di soldi. Lui aveva tentato in tutti i modi di trattenerla, ma non c’era stato verso. Il fascino e la fama dell’avvocato erano un nemico troppo ostile per un uomo come lui. Lei se n’era andata e l’aveva lasciato solo nella loro piccola casa, che ora mostrava più che mai l’assenza di una donna. Pavimenti sporchi, piatti da lavare, vestiti sparsi ovunque. Non che la donna abbia il dovere di tenere il tutto in ordine, ma una donna sa come rendere un uomo più ordinato.
A James era sempre piaciuto bere, non si era mai negato il piacere di una birra o di un doppio whisky, ma non l’aveva mai fatto sul lavoro. Era cosciente del fatto che fosse pericoloso, soprattutto considerato il fatto che lui non guidava una semplice macchina ma un camion, quindi si concedeva un goccetto solo quando era arrivato a casa. Dopo che la sua Jasmine se n’era andata il goccetto si era trasformato in una sbronza.
In questo momento stava viaggiando sulla Route 619 a bordo del suo colossale Kenworth W900.
Dopo tutto il caldo torrido della giornata, la voglia di una bella birra fresca gli pesava in gola come un macigno e più il peso aumentava e maggiore era la pressione del suo piede sull’acceleratore.
Il tachimetro stava per raggiungere le cento miglia orarie.
Il piacere che s’immaginava era così grande che presto iniziò a farsi sentire anche nella zona del pube (complice anche l’astinenza che durava ormai da un anno), così James alzò lo sguardo sull’immagine della focosa ragazza che posava nuda sul suo calendario, senza lasciare nemmeno un millimetro di pelle all’immaginazione, mentre si strofinava una mano sui calzoni.
Il mostro metallico stava per intraprendere l’unica curva con scarsa visibilità di tutta la Route 619, non perché fosse particolarmente stretta, ma per gli alberi a bordo strada che infastidivano parecchio la visuale. James pensò che era inutile rallentare quando bastava allargarla un po’, pensiero dovuto anche in parte al fatto che la mano che doveva occuparsi del cambio si stava occupando di un’altra “leva”. Con l’unica mano che teneva il volante, sterzò lievemente portando verso l’esterno il colosso per poi affrontare la curva. Quando vide la Cadillac blu che giungeva sull’altra corsia (che viaggiava a velocità altrettanto elevata) era troppo tardi. Piantò il piede sul freno nel tentativo di limitare seppur di poco la forza dell’impatto, ma lo spazio era poco e la velocità troppa. Sterzò nel tentativo di schivare l’automobile e ci sarebbe riuscito se non avesse avuto il rimorchio. Fu proprio quello che colpì la Cadillac.
3
Anche per Rachel fu troppo tardi, diede un rapido colpo allo sterzo nel tentativo di schivare il camion, ma non fu abbastanza. Riuscì solamente a spostare l’impatto sulla fiancata dell’auto invece che sul lato frontale. Il rimorchio le arrivò addosso come una fiondata.
L’impatto fu di una potenza orribile.
Un frastuono metallico scoppiò nell’aria con una ferocia indescrivibile e i contadini che stavano lavorando nei campi a fianco della Route 619 si ritrovarono con il cuore in gola per lo spavento. Tuttavia non esitarono un secondo ad accorrere a vedere e chiamare i soccorsi.
La Cadillac fu colpita più verso la parte posteriore. La forza dell’impatto la fece girare su se stessa di trecentosessanta gradi e poi iniziò a piroettare come se fosse un acrobata del circo. Le lamiere si piegavano sempre di più a ogni colpo, lasciando piccole chiazze di vernice blu sul manto stradale e formando scintille, che danzavano nell’aria come piccole lucciole. Il parabrezza formò una ragnatela di crepature e infine esplose in una pioggia di frammenti cristallini. I suoni e i rumori si facevano sempre più incomprensibili e distanti, le immagini diventavano sempre più confuse e sfocate, il mondo prese a girare intorno a loro in maniera sempre più violenta. Dopo qualche secondo di piroette la macchina iniziò a frenare la sua macabra performance acrobatica in una lunga strisciata. Le lamiere stridevano come artigli affilati sulla nera grafite di una lavagna, mentre altre lucciole presero vita dalla carrozzeria deforme e iniziarono una nuova danza. Superò il manto stradale finendo capovolta in uno dei campi adiacenti.
Rachel fece appena in tempo a capire quello che stava accadendo prima che i suoi sensi la abbandonassero completamente. Eddie non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersi conto di essersi svegliato prima che i rumori e le vorticose immagini furono sostituite da un nero piatto e silenzioso.
La Route 619 a quell’ora (che per loro sarebbe diventata un’ora maledetta) era poco trafficata. Al momento dell’incidente non stava transitando nessun’altra vettura. La prima passò un paio di minuti dopo e si fermò a osservare l’accaduto. James prese il telefono per chiamare i soccorsi, ignaro del fatto che erano già stati chiamati. In cinque minuti arrivarono a sirene spiegate tre ambulanze, un camion dei pompieri e due volanti della polizia. Le macchine che arrivarono in seguito furono fermate e invitate ad aspettare dai poliziotti. La gente scendeva dalle vetture e osservava incuriosita la scena.
L’immensa confusione formatasi intorno al luogo dove la loro Cadillac si era fermata, fece riprendere i sensi al piccolo Eddie. Il suono acuto delle sirene gli trafisse i timpani come una stalattite di ghiaccio. Fu un rumore così forte che d’istinto chiuse gli occhi e tentò di portarsi le mani alle orecchie per proteggerle. Nel tentativo il suo costato era pervaso da un dolore straziante. Quel lacerante dolore riportò nitidezza nella sua mente confusa facendogli prendere atto della situazione. La prima cosa che notò era la visuale. Solo ora si rese conto che il mondo era sottosopra e che lui era sorretto dalle cinture di sicurezza. Le sirene non erano l’unico rumore anche se erano di sicuro il più forte. Udiva anche delle voci. Molte voci. Poi pensò a sua madre e si voltò rapidamente per vedere in quali condizioni versasse.
Il ricordo di ciò che vide sarebbe rimasto con lui per tutta la sua vita.
4
Rachel era tenuta appesa al sedile dalla cintura di sicurezza, con la testa ruotata verso di lui, penzolante in una posizione innaturale. Un pezzo di lamiera blu, si era spaccato e le si era conficcato in bocca squarciandole la guancia sinistra e frantumandole la mascella. Gli occhi erano spalancati in una nauseante espressione di terrore e dolore puro.
I pompieri, che di lì a poco l’avrebbero vista, avrebbero subito immaginato la sofferenza che aveva provato la povera Rachel in quel momento.
Il sangue le sgorgava a fiumi dalla bocca, scivolando lungo la lamiera e inzuppandole tutti i capelli che, più che lisci e sottili raggi di sole, ora sembravano lunghe vene sanguinanti. Osservando bene si poteva notare che a causa dei capelli gocciolanti e delle altre ferite, nella capotta della Cadillac (che ormai era più simile a un cubo che a una tre volumi) si stava iniziando a formare un’orribile pozza di sangue e saliva. La lingua e i denti di Rachel giacevano lì insieme con alcuni lembi di pelle.
Il percorso che fece quella visione orripilante, non fu lo stesso che compie qualsiasi altra immagine. Questa arrivò dritta allo stomaco come un macigno caduto da un grattacielo. È facile immaginare lo shock di un bambino di soli undici anni che vede la propria madre in una condizione come quella. Eddie, come prima reazione pianse e gridò, poi cominciò ad avere delle convulsioni e a vomitare. Se non fosse stato per il fatto che anche lui si trovava appeso a testa in giù, probabilmente avrebbe potuto finire col soffocarsi. Per via dei movimenti bruschi, dovuti alla crisi convulsiva, sparò il vomito a getti aggiungendo dell’altro schifo a quel laghetto che era già estremamente disgustoso. Minuscole gocce verdastre si sparsero in ogni direzione. Quella che fino a qualche minuto prima era una Cadillac di una certa eleganza, ora era un mucchio di lamiere sanguinanti che puzzavano di morte e marciume.
Nel frattempo, i pompieri avevano recuperato l’attrezzatura e iniziato a tagliare la lamiera per liberare Eddie e Rachel da quell’inferno. Eddie registrò inconsciamente il rumore stridulo e metallico della sega circolare che iniziava il suo compito, durante il suo attacco di convulsioni, in seguito al quale perse per la seconda volta i sensi. I pompieri estrassero i corpi dalla Cadillac. Come previsto furono inorriditi alla vista delle condizioni di Rachel e si scambiarono rapide occhiate piene di compassione.
La gente più sensibile (nonostante fossero tenuti a distanza dalla polizia alcuni riuscirono a vedere la scena) iniziò a vomitare e svenire alla vista di quel macabro spettacolo crudelmente offerto dalla Route 619. Dopo aver accertato la morte di Rachel, non che ci fossero dubbi a riguardo ma a volte i miracoli accadono, passarono a Eddie e, tornando alla teoria dei miracoli, constatarono che uno era avvenuto.
SECONDO ESTRATTO
Eddie si era appena addormentato quando aveva sentito qualcuno che chiamava il suo nome.
≪Eddie... Eddie... Eddie...≫
Era in piedi immerso nell’oscurità più assoluta, avvolto da un buio così denso da sembrare solido. L’aria era rarefatta e pesante. Non riusciva a vedere niente. L’angoscia gli si era fiondata nello stomaco come un bicchiere d’acqua ghiacciata bevuto troppo in fretta. Non potendo contare sulla vista, non poteva farsi un’idea di cosa lo circondasse. Poteva essere in una stanza, in un vicolo, in un gabbia o in qualsiasi altro posto o struttura. La voce riecheggiò una seconda volta nell’oscurità, sempre chiamando il suo nome. Eddie fu quasi sicuro che fosse sua madre. La riconosceva dalla voce dolce e sospirata che usava lei quando entrava nel sua cameretta la notte per dargli le ultime carezze prima che dormisse, ma in quella che udiva ora sentiva una sonorità distorta. Un pizzico di… altro. Non sapeva dire cosa fosse quell’altro che percepiva, però lo sentiva. Eddie cominciò a camminare, con il cuore che martellava nel petto, mentre muoveva le braccia tese in ogni direzione per trovare una parete o un qualcosa da seguire. Procedette con cautela, per non rischiare di inciampare in qualche ostacolo invisibile. Dopo qualche minuto ancora non aveva trovato nulla. Era circondato dal vuoto più totale. Fece ancora qualche passo, provando a cambiare direzione. Poco dopo, in lontananza, si accese una flebile luce che fece illuminò un sipario bianco, nel quale si riusciva a intravedere una sagoma scura. Subito non fu distinguibile, ma quando si girò sul fianco e si notarono le curve disegnate dal seno Eddie capì che era una sagoma femminile.
≪Eddie... vieni qua, abbracciami... mi manchi tanto…≫
“Anche tu”, pensò il bambino avvinandosi alla figura in lontananza a piccoli ma rapidi passi. La paura non era del tutto svanita, ma stava lentamente abbandonando la sua mente rimpiazzata dalla speranza che quella silhouette lontana fosse la sua adorata mamma. Quella voce, seppur con quel minimo accenno di distorsione, non poteva non essere quella di sua madre. Riconosceva la magia di quel tono così dolce e gentile, che veniva ascoltato col cuore e non con le orecchie.
≪Vieni a dare un bacio alla tua fata della luna...≫
Fata del luna. All’udire quelle parole, la mente del piccolo lanciò via la paura e i dubbi e si aggrappò con tutte le sue forze alla certezza. Nonostante avesse già capito che era lei a chiamarlo, quelle parole furono come la prova del nove. La certezza che fosse davvero lei. Solo lei poteva sapere di quella storia che avevano letto anni prima. Il piccolo cominciò ad avanzare verso quell’immagine lontana. Man mano che si avvicinava alla sagoma, la luce diventava più intensa fino a non fargli più vedere niente. A lui non importava, era sicuro che lei fosse lì davanti a lui e questo bastava. Si mise a camminare più veloce che poteva. Più veloce, più veloce, fino a correre a perdifiato. Sul suo volto un immenso sorriso stava nascendo e la gioia era già presente nei suoi occhi con il suo tipico scintillio. Stava per riabbracciare la sua cara mamma. Per il piccolo non c’era niente al mondo che lo rendesse più felice del caldo e tenero abbraccio di sua madre. Lei era sempre stata molto dolce e premurosa con lui. Lo coccolava ogni giorno. Non vi era stato nemmeno un giorno nel quale non l’avesse fatto. Ogni notte, prima che lui si addormentasse, era lì, seduta sul bordo del suo lettino e delicatamente gli passava la mano tra i capelli ricci accarezzandolo. Eddie adorava immensamente quel gesto così rilassante. Alcune sere mentre lo accarezzava, posava un libro di favole sulle ginocchia e con la sua candida voce leggeva fino a quando il piccolo non si addormentava. Quando questo avveniva, gli rimboccava le coperte, lo baciava delicatamente sulla fronte e poi tornava da Chris. Ogni mattina, prima che lui si svegliasse, Rachel era di nuovo accanto al figlio. Lo accarezzava, baciava e con voce delicata e melodiosa, lo svegliava. Era una madre perfetta e questo era il motivo per cui Eddie era sempre stato profondamente legato a lei, più che a suo padre.
2
Dopo qualche minuto che correva, finalmente davanti agli occhi di Eddie apparve la madre. Lo scintillio di gioia nei suoi occhi si trasformò in affilate lacrime di terrore. Lei era lì davanti a lui, con i vestiti macchiati di sangue e la pelle ricucita in più punti. Filamenti di bava rosacea colavano dal sorriso deforme che ora aveva al posto della guancia. Fissava Eddie con sguardo vitreo. Protese le braccia verso il bambino nel tentativo di afferrarlo. Tentò di saltare indietro, lontano da quelle mani putrescenti, ma il suo corpo si rifiutò di eseguire l’ordine impostogli. Le gambe erano immobili e fredde come se non facessero più parte di lui, stessa cosa per le braccia. Il cuore cominciò a prendere velocità e potenza. I battiti sembravano veri e propri pugni di una persona disperata che vuole uscire dalla prigione nella quale è stata rinchiusa per errore. Il sangue scorreva lento e pesante, come se fosse diventato petrolio. Le palpebre avevano smesso di chiudersi, lo sguardo era fisso e terrorizzato. Si sentiva come una statua vivente che vede la nera palla del demolitore correre verso di lei senza poter fare nulla per evitarla. Le braccia erano sempre più vicine. Lo stomaco mandò un conato di vomito per colpa dell’odore sanguinolento che emanavano le mani emaciate. Il sangue che scendeva lentamente dal taglio sulla fronte aveva velato l’occhio sinistro. Eddie riuscì a recuperare il controllo del suo corpo e balzò indietro, schivando per un soffio il contatto. L’occhio della madre lo guardò stupito.
≪Eddie… piccolo mio… Sono io, sono la tua mamma. Non aver paura, abbracciami.≫
Eddie lanciò uno sguardo spaventato a quell’essere che diceva di essere sua madre. La osservava spaventato. Voleva avvicinarsi ma aveva paura. La gioia aveva lasciato il vuoto nella sua mente, un buco nero che si era presto riempito di pensieri. Non puoi essere la mia mamma. Lei era dolce e bella, tu sei solo un mostro. Gridò correndo via. Il pavimento dietro di lui cominciò a sgretolarsi, come se l’incubo stesse collassando su se stesso. Corse a più non posso, in una sfida con il tempo. Una luce comparve davanti a lui. Chiara e limpida salvezza. Almeno così credette. Si tuffò in avanti e appena prima di svanire nella luce udì il tonfo sordo della stanza dietro di lui che crollava. Rotolò sull’erba un paio di volte, poi si rialzò. Un sospiro di aria fresca scompigliò i riccioli sudati. Eddie si guardò intorno. Si trovava in mezzo a un campo, poco distante da una lunga strada. Osservandola bene riconobbe che era la Route 619. Udì il motore di un grosso veicolo provenire da destra. Osservò in quella direzione e vide il camion. Un colosso di metallo arrugginito che procedeva ruggendo. Il muso sembravano le fauci di un leone d’acciaio. Si aprivano e chiudevano con un rumore metallico. Voltandosi dall’altra parte si accorse della Cadillac blu di sua madre. Cominciò a correre, sbracciandosi e gridando, nel tentativo di far capire il pericolo imminente. Non ci riuscì. Il camion inghiottì la macchina tra le sue mascelle ferrose. Il rumore che ne seguì fu lo stesso di una macchina che viene demolita. Dopo averla masticata per qualche minuto il colosso arrugginito la sputò nel campo e riprese la sua marcia. Eddie corse verso la macchina distrutta. Quando fu abbastanza vicino da vederne l’interno rimase sconvolto. Appesa a testa in giù, sorretta dalla cintura di sicurezza c’era La Creatura. Lo guardava e sorrideva.
≪Visto Eddie? Sono la mamma. Avanti ora vieni qua.≫
Eddie gridò e corse via in direzione opposta alla strada. Sentiva le gambe stanche, i muscoli bruciavano ad ogni contrazione. Le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi, mescolandosi alle gocce di sudore che scivolavano dalla fronte. Il vento, che a sprazzi alitava fresco, era l’unico accenno di piacere in quella situazione. Corse per parecchi minuti, fino a quando in lontananza non intravide una casa. Ignaro di chi o cosa potesse abitarla, puntò in direzione di essa. Non vedeva la Creatura dietro di sé, ma sentiva che era così. La immaginava dimenarsi e contorcersi per uscire dall’automobile distrutta per riprendere l’inseguimento. E l’avrebbe raggiunto prima o poi. Doveva nascondersi e quella casa era l’unico edificio nell’arco di miglia e miglia. Non aveva altra scelta. Arrivò davanti alla porta, afferrò la maniglia e senza pensarci un secondo girò. Non poteva permettersi di bussare e attendere che qualcuno rispondesse. Non aveva tempo. Persino una decina di secondi avrebbero potuto fare la differenza. Per sua fortuna, se la fortuna esiste all’interno di un incubo, la porta era aperta. Tuttavia aprì ed entrò troppo velocemente per accorgersi di quello che accadde.
3
Un denso strato di oscurità lo circondò e subito dopo si ritrovò sdraiato nel letto di un ospedale. Le mani e i piedi erano legati da cinture di cuoio. Tentò di liberarsi strattonando le cinghie ma non cedettero nemmeno di un millimetro. Cominciò a gridare a squarciagola. La porta si aprì e vide entrare suo padre e il dottor Trevance. La mente di Eddie si trovò momentaneamente confusa. La stanza dell’ospedale, il dottor Trevance, suo padre, era tutto perfettamente uguale a quando si era risvegliato all’ospedale. Possibile che si fosse riaddormentato subito dopo e che ora fosse sveglio e ancora lì? Non riusciva a capirlo. Chris si avvicinò ad Eddie. Come stai ometto? Eddie guardò per un attimo in girò per la stanza alla ricerca di qualcosa che facesse chiarezza sulla realtà di ciò che stava accadendo. Nulla di nulla. Tutto sembrava perfettamente in ordine.
≪Bene, papà, puoi slegarmi queste cinghie?≫ rispose a bassa voce.
≪Non posso Eddie. La mamma ha detto che è per il tuo bene.≫
La porta della stanza sbatté con un rumore secco. Eddie si voltò di scatto e vide la Creatura entrare.
≪Eddie, piccolo mio, come stai?≫
Vedendo la Creatura ogni cosa nella mente di Eddie tornò al suo posto. Non era sveglio. Cominciò a dimenarsi come un pazzo per liberarsi delle cinture. Come per il primo tentativo fu tutto inutile. Cominciò a piangere, implorando il padre e il dottor Trevance di aiutarlo, di tenerla lontana perché lei non era sua madre. Era una Creatura che ne aveva preso il posto. ≪Cosa stai dicendo Eddie? Non permetterti mai più di rivolgerti così a tua madre≫, aveva risposto Chris in tono severo. Gli aveva lanciato uno sguardo di rimprovero, lo stesso sguardo che stava a indicare che alla prossima sarebbe partito uno schiaffo. Eddie si rassegnò. Non c’era più nulla da fare ormai. Quello che doveva succedere sarebbe successo, indipendentemente dalla sua volontà. La Creatura avanzò verso di lui a passi lenti e solenni. Eddie osservava la scena, intimorito da lei e dagli sguardi di Chris e del dottor Trevance. Era come se per loro fosse tutto normale. Una madre che si avvicina al figlio. Possibile che loro non notavano quanto quell’essere fosse diverso da sua madre? L’aria nella stanza era sempre più pesante e respirare diventava difficile. Chiuse gli occhi e pensò. Cercò di immaginarsi altro, qualsiasi altra cosa. Doveva svegliarsi. In quel momento un suono ritmico e metallico iniziò a rimbombare nella sua testa. Il mantello dell’incubo venne strappato dalla mente del piccolo che d’istinto aprì gli occhi, balzando per mettersi seduto. Le costole protestarono per lo scatto del risveglio lanciandogli un coltello di dolore. Si passò il dorso della mano sul volto per asciugarsi le lacrime che gli stavano facendo bruciare gli occhi e si rese conto di essere in un bagno di sudore. Il suo respiro era affannoso. Osservò Mr. Clap, il suo salvatore. Se ne stava lì di fianco a lui sul comodino dov’era sempre stato e sembrava fissarlo con quella sua espressione stupida, mentre sbatteva i suoi piatti per dargli il buongiorno. Fissò il soffitto, pensando a quanto quel tanto indesiderato contatto fosse stato così maledettamente vicino. Era stato solo un sogno, però gli era parso maledettamente reale. Così vero che ancora ora percepiva l’odore di marciume intorno a lui e questo procurava un forte senso di nausea e un notevole disagio. Ora però doveva prepararsi per andare al funerale di sua madre. Involontariamente con la mente tornò a lei e un’immagine istantanea della Creatura apparve nei suoi pensieri come un lampo di nera malvagità. Eddie pianse, temendo che per il resto della sua vita non avrebbe più potuto ricordare il volto della madre. Quel dolcissimo e bellissimo angelo che si era sempre preso cura di lui.
≪Eddie... Eddie... Eddie...≫
Era in piedi immerso nell’oscurità più assoluta, avvolto da un buio così denso da sembrare solido. L’aria era rarefatta e pesante. Non riusciva a vedere niente. L’angoscia gli si era fiondata nello stomaco come un bicchiere d’acqua ghiacciata bevuto troppo in fretta. Non potendo contare sulla vista, non poteva farsi un’idea di cosa lo circondasse. Poteva essere in una stanza, in un vicolo, in un gabbia o in qualsiasi altro posto o struttura. La voce riecheggiò una seconda volta nell’oscurità, sempre chiamando il suo nome. Eddie fu quasi sicuro che fosse sua madre. La riconosceva dalla voce dolce e sospirata che usava lei quando entrava nel sua cameretta la notte per dargli le ultime carezze prima che dormisse, ma in quella che udiva ora sentiva una sonorità distorta. Un pizzico di… altro. Non sapeva dire cosa fosse quell’altro che percepiva, però lo sentiva. Eddie cominciò a camminare, con il cuore che martellava nel petto, mentre muoveva le braccia tese in ogni direzione per trovare una parete o un qualcosa da seguire. Procedette con cautela, per non rischiare di inciampare in qualche ostacolo invisibile. Dopo qualche minuto ancora non aveva trovato nulla. Era circondato dal vuoto più totale. Fece ancora qualche passo, provando a cambiare direzione. Poco dopo, in lontananza, si accese una flebile luce che fece illuminò un sipario bianco, nel quale si riusciva a intravedere una sagoma scura. Subito non fu distinguibile, ma quando si girò sul fianco e si notarono le curve disegnate dal seno Eddie capì che era una sagoma femminile.
≪Eddie... vieni qua, abbracciami... mi manchi tanto…≫
“Anche tu”, pensò il bambino avvinandosi alla figura in lontananza a piccoli ma rapidi passi. La paura non era del tutto svanita, ma stava lentamente abbandonando la sua mente rimpiazzata dalla speranza che quella silhouette lontana fosse la sua adorata mamma. Quella voce, seppur con quel minimo accenno di distorsione, non poteva non essere quella di sua madre. Riconosceva la magia di quel tono così dolce e gentile, che veniva ascoltato col cuore e non con le orecchie.
≪Vieni a dare un bacio alla tua fata della luna...≫
Fata del luna. All’udire quelle parole, la mente del piccolo lanciò via la paura e i dubbi e si aggrappò con tutte le sue forze alla certezza. Nonostante avesse già capito che era lei a chiamarlo, quelle parole furono come la prova del nove. La certezza che fosse davvero lei. Solo lei poteva sapere di quella storia che avevano letto anni prima. Il piccolo cominciò ad avanzare verso quell’immagine lontana. Man mano che si avvicinava alla sagoma, la luce diventava più intensa fino a non fargli più vedere niente. A lui non importava, era sicuro che lei fosse lì davanti a lui e questo bastava. Si mise a camminare più veloce che poteva. Più veloce, più veloce, fino a correre a perdifiato. Sul suo volto un immenso sorriso stava nascendo e la gioia era già presente nei suoi occhi con il suo tipico scintillio. Stava per riabbracciare la sua cara mamma. Per il piccolo non c’era niente al mondo che lo rendesse più felice del caldo e tenero abbraccio di sua madre. Lei era sempre stata molto dolce e premurosa con lui. Lo coccolava ogni giorno. Non vi era stato nemmeno un giorno nel quale non l’avesse fatto. Ogni notte, prima che lui si addormentasse, era lì, seduta sul bordo del suo lettino e delicatamente gli passava la mano tra i capelli ricci accarezzandolo. Eddie adorava immensamente quel gesto così rilassante. Alcune sere mentre lo accarezzava, posava un libro di favole sulle ginocchia e con la sua candida voce leggeva fino a quando il piccolo non si addormentava. Quando questo avveniva, gli rimboccava le coperte, lo baciava delicatamente sulla fronte e poi tornava da Chris. Ogni mattina, prima che lui si svegliasse, Rachel era di nuovo accanto al figlio. Lo accarezzava, baciava e con voce delicata e melodiosa, lo svegliava. Era una madre perfetta e questo era il motivo per cui Eddie era sempre stato profondamente legato a lei, più che a suo padre.
2
Dopo qualche minuto che correva, finalmente davanti agli occhi di Eddie apparve la madre. Lo scintillio di gioia nei suoi occhi si trasformò in affilate lacrime di terrore. Lei era lì davanti a lui, con i vestiti macchiati di sangue e la pelle ricucita in più punti. Filamenti di bava rosacea colavano dal sorriso deforme che ora aveva al posto della guancia. Fissava Eddie con sguardo vitreo. Protese le braccia verso il bambino nel tentativo di afferrarlo. Tentò di saltare indietro, lontano da quelle mani putrescenti, ma il suo corpo si rifiutò di eseguire l’ordine impostogli. Le gambe erano immobili e fredde come se non facessero più parte di lui, stessa cosa per le braccia. Il cuore cominciò a prendere velocità e potenza. I battiti sembravano veri e propri pugni di una persona disperata che vuole uscire dalla prigione nella quale è stata rinchiusa per errore. Il sangue scorreva lento e pesante, come se fosse diventato petrolio. Le palpebre avevano smesso di chiudersi, lo sguardo era fisso e terrorizzato. Si sentiva come una statua vivente che vede la nera palla del demolitore correre verso di lei senza poter fare nulla per evitarla. Le braccia erano sempre più vicine. Lo stomaco mandò un conato di vomito per colpa dell’odore sanguinolento che emanavano le mani emaciate. Il sangue che scendeva lentamente dal taglio sulla fronte aveva velato l’occhio sinistro. Eddie riuscì a recuperare il controllo del suo corpo e balzò indietro, schivando per un soffio il contatto. L’occhio della madre lo guardò stupito.
≪Eddie… piccolo mio… Sono io, sono la tua mamma. Non aver paura, abbracciami.≫
Eddie lanciò uno sguardo spaventato a quell’essere che diceva di essere sua madre. La osservava spaventato. Voleva avvicinarsi ma aveva paura. La gioia aveva lasciato il vuoto nella sua mente, un buco nero che si era presto riempito di pensieri. Non puoi essere la mia mamma. Lei era dolce e bella, tu sei solo un mostro. Gridò correndo via. Il pavimento dietro di lui cominciò a sgretolarsi, come se l’incubo stesse collassando su se stesso. Corse a più non posso, in una sfida con il tempo. Una luce comparve davanti a lui. Chiara e limpida salvezza. Almeno così credette. Si tuffò in avanti e appena prima di svanire nella luce udì il tonfo sordo della stanza dietro di lui che crollava. Rotolò sull’erba un paio di volte, poi si rialzò. Un sospiro di aria fresca scompigliò i riccioli sudati. Eddie si guardò intorno. Si trovava in mezzo a un campo, poco distante da una lunga strada. Osservandola bene riconobbe che era la Route 619. Udì il motore di un grosso veicolo provenire da destra. Osservò in quella direzione e vide il camion. Un colosso di metallo arrugginito che procedeva ruggendo. Il muso sembravano le fauci di un leone d’acciaio. Si aprivano e chiudevano con un rumore metallico. Voltandosi dall’altra parte si accorse della Cadillac blu di sua madre. Cominciò a correre, sbracciandosi e gridando, nel tentativo di far capire il pericolo imminente. Non ci riuscì. Il camion inghiottì la macchina tra le sue mascelle ferrose. Il rumore che ne seguì fu lo stesso di una macchina che viene demolita. Dopo averla masticata per qualche minuto il colosso arrugginito la sputò nel campo e riprese la sua marcia. Eddie corse verso la macchina distrutta. Quando fu abbastanza vicino da vederne l’interno rimase sconvolto. Appesa a testa in giù, sorretta dalla cintura di sicurezza c’era La Creatura. Lo guardava e sorrideva.
≪Visto Eddie? Sono la mamma. Avanti ora vieni qua.≫
Eddie gridò e corse via in direzione opposta alla strada. Sentiva le gambe stanche, i muscoli bruciavano ad ogni contrazione. Le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi, mescolandosi alle gocce di sudore che scivolavano dalla fronte. Il vento, che a sprazzi alitava fresco, era l’unico accenno di piacere in quella situazione. Corse per parecchi minuti, fino a quando in lontananza non intravide una casa. Ignaro di chi o cosa potesse abitarla, puntò in direzione di essa. Non vedeva la Creatura dietro di sé, ma sentiva che era così. La immaginava dimenarsi e contorcersi per uscire dall’automobile distrutta per riprendere l’inseguimento. E l’avrebbe raggiunto prima o poi. Doveva nascondersi e quella casa era l’unico edificio nell’arco di miglia e miglia. Non aveva altra scelta. Arrivò davanti alla porta, afferrò la maniglia e senza pensarci un secondo girò. Non poteva permettersi di bussare e attendere che qualcuno rispondesse. Non aveva tempo. Persino una decina di secondi avrebbero potuto fare la differenza. Per sua fortuna, se la fortuna esiste all’interno di un incubo, la porta era aperta. Tuttavia aprì ed entrò troppo velocemente per accorgersi di quello che accadde.
3
Un denso strato di oscurità lo circondò e subito dopo si ritrovò sdraiato nel letto di un ospedale. Le mani e i piedi erano legati da cinture di cuoio. Tentò di liberarsi strattonando le cinghie ma non cedettero nemmeno di un millimetro. Cominciò a gridare a squarciagola. La porta si aprì e vide entrare suo padre e il dottor Trevance. La mente di Eddie si trovò momentaneamente confusa. La stanza dell’ospedale, il dottor Trevance, suo padre, era tutto perfettamente uguale a quando si era risvegliato all’ospedale. Possibile che si fosse riaddormentato subito dopo e che ora fosse sveglio e ancora lì? Non riusciva a capirlo. Chris si avvicinò ad Eddie. Come stai ometto? Eddie guardò per un attimo in girò per la stanza alla ricerca di qualcosa che facesse chiarezza sulla realtà di ciò che stava accadendo. Nulla di nulla. Tutto sembrava perfettamente in ordine.
≪Bene, papà, puoi slegarmi queste cinghie?≫ rispose a bassa voce.
≪Non posso Eddie. La mamma ha detto che è per il tuo bene.≫
La porta della stanza sbatté con un rumore secco. Eddie si voltò di scatto e vide la Creatura entrare.
≪Eddie, piccolo mio, come stai?≫
Vedendo la Creatura ogni cosa nella mente di Eddie tornò al suo posto. Non era sveglio. Cominciò a dimenarsi come un pazzo per liberarsi delle cinture. Come per il primo tentativo fu tutto inutile. Cominciò a piangere, implorando il padre e il dottor Trevance di aiutarlo, di tenerla lontana perché lei non era sua madre. Era una Creatura che ne aveva preso il posto. ≪Cosa stai dicendo Eddie? Non permetterti mai più di rivolgerti così a tua madre≫, aveva risposto Chris in tono severo. Gli aveva lanciato uno sguardo di rimprovero, lo stesso sguardo che stava a indicare che alla prossima sarebbe partito uno schiaffo. Eddie si rassegnò. Non c’era più nulla da fare ormai. Quello che doveva succedere sarebbe successo, indipendentemente dalla sua volontà. La Creatura avanzò verso di lui a passi lenti e solenni. Eddie osservava la scena, intimorito da lei e dagli sguardi di Chris e del dottor Trevance. Era come se per loro fosse tutto normale. Una madre che si avvicina al figlio. Possibile che loro non notavano quanto quell’essere fosse diverso da sua madre? L’aria nella stanza era sempre più pesante e respirare diventava difficile. Chiuse gli occhi e pensò. Cercò di immaginarsi altro, qualsiasi altra cosa. Doveva svegliarsi. In quel momento un suono ritmico e metallico iniziò a rimbombare nella sua testa. Il mantello dell’incubo venne strappato dalla mente del piccolo che d’istinto aprì gli occhi, balzando per mettersi seduto. Le costole protestarono per lo scatto del risveglio lanciandogli un coltello di dolore. Si passò il dorso della mano sul volto per asciugarsi le lacrime che gli stavano facendo bruciare gli occhi e si rese conto di essere in un bagno di sudore. Il suo respiro era affannoso. Osservò Mr. Clap, il suo salvatore. Se ne stava lì di fianco a lui sul comodino dov’era sempre stato e sembrava fissarlo con quella sua espressione stupida, mentre sbatteva i suoi piatti per dargli il buongiorno. Fissò il soffitto, pensando a quanto quel tanto indesiderato contatto fosse stato così maledettamente vicino. Era stato solo un sogno, però gli era parso maledettamente reale. Così vero che ancora ora percepiva l’odore di marciume intorno a lui e questo procurava un forte senso di nausea e un notevole disagio. Ora però doveva prepararsi per andare al funerale di sua madre. Involontariamente con la mente tornò a lei e un’immagine istantanea della Creatura apparve nei suoi pensieri come un lampo di nera malvagità. Eddie pianse, temendo che per il resto della sua vita non avrebbe più potuto ricordare il volto della madre. Quel dolcissimo e bellissimo angelo che si era sempre preso cura di lui.
TERZO ESTRATTO
1
Eddie, svegliato dalla stupida scimmietta, dopo aver recuperato la calma, si accorse del picchiettare della pioggia sul vetro della finestra e si voltò a guardare. Il cielo era grigio e nuvoloso. Le gocce cadevano in un ritmo malinconico e sembravano condividere il suo dolore. Ogni tanto il grigiore era squarciato dal bianco di un lampo. Afferrò Mr. Clap e diede un’occhiata al quadrante che aveva nella pancia. Le otto. Questo voleva dire solo una cosa. Oggi era il giorno del funerale. Ripensò alla madre e gli tornò alla mente ogni parte dell’incidente e dell’incubo che appena vissuto suddivisi in vari flash rapidi e chiari. Cancellò tutto scuotendo la testa. Gli venne da piangere. Ogni volta che cercava di pensare a sua madre, quelle maledette immagini si sostituivano ai suoi pensieri. Avevano tramutato i suoi ricordi in pezzi di vetro insanguinati. Rievocarli significava sentirsi trafiggere il cervello. Cercò di convincersi che fosse del tutto normale. Ricordò le parole del padre. Gli aveva spiegato che l’incidente era avvenuto soltanto il giorno prima, quindi non poteva pretendere di non pensarci più. Aveva aggiunto che col tempo tutto sarebbe tornato alla normalità e gli incubi sarebbero cessati. Lui ci sperava. Lentamente e con molta fatica si mise a sedere sul letto, poi chiamò suo padre perché venisse ad aiutarlo con i vestiti. Chris arrivò pochi istanti dopo nella cameretta del figlio e dalle occhiaie che si scorgevano sotto i suoi occhi, era facile capire che non aveva dormito molto bene neanche lui. La scomparsa di una moglie non è mai facile da sopportare, soprattutto quando si trattava di una donna come Rachel, che non era solo stupenda, ma anche una moglie e una madre perfetta. Ricordava ancora perfettamente quando l’aveva conosciuta.
2
Aveva ventun anni e già da due anni lavorava come muratore per una ditta di Lake City, dove abitava. Un giorno gli fu chiesto di andare a sistemare un muretto da un signore giù a Lobin. Chris accettò e dopo aver chiesto la via, si recò sul luogo. Giunto sul posto venne accolto da un signore che dimostrava all’incirca cinquant’anni. I corti capelli brizzolati erano tirati all’indietro e sul viso spuntavano chiazze di barba grigiastra. Non aveva un bell’aspetto. Parlarono per qualche minuto, durante il quale il signore spiegò come voleva che venisse svolto il lavoro. Precisando che il tutto sarebbe comunque avvenuto sotto la sua supervisione. Chris non fu particolarmente contento di quel comportamento. Pensava che il vecchio lo prendesse per deficiente o per incapace e questo lo infastidiva. Era giovane, vero, ma aveva comunque dimostrato di saperci fare nel suo lavoro. Tuttavia, fu costretto a far finta di nulla. Un cliente è un cliente e se paga per un lavoro, quel lavoro va svolto nel migliori dei modi e sotto le sue regole. Questa era una delle prima cose che aveva imparato. Dopo aver esaminato il lavoro si misero d’accordo. Chris disse che l’indomani mattina presto avrebbe iniziato il lavoro e così fu. Arrivò sul posto intorno alle sette. Il sole era appena sorto e il caldo era sopportabile. Il signore lo accolse e lo invitò a prendere una tazza di caffè. Bevvero insieme e poi uscirono per procedere. Chris lavorava in maniera costante e precisa. L’uomo, che fino al giorno prima aveva dei dubbi sulle capacità del ragazzo, dovette ricredersi. Tutto stava procedendo per il meglio. Giunte le dieci, una giovane fanciulla uscì dalla porta di casa e raggiunse i due in cortile. Buongiorno Papà! esclamò baciandolo sulla guancia. L’uomo ricambiò il saluto chiamandola principessa e baciandola a sua volta, dopodiché la presentò a Chris. Lui per un istante rimase pietrificato da tanta bellezza. Le gambe nude che spuntavano dai corti pantaloncini del pigiama erano da togliere il fiato. La maglietta,troppo larga per il suo fisico esile, poggiava delicatamente sul seno lasciandone intravedere l’elegante forma. I suoi pensieri cominciarono a galoppare verso fantasie puramente maschili. Tornato al mondo reale (anche se sarebbe rimasto volentieri in quello dei sogni ancora per un bel po’) si presentò. I due si strinsero la mano. Rachel, un gran bel nome, disse lui. Lei ringraziò, poi chiese ai due se gradivano qualcosa da bere. Accettarono. Rachel tornò in casa mentre Chris osservava meravigliato l’eleganza con cui quella ragazza si muoveva. Era incantevole. Eccola tornare poco dopo con due limonate ghiacciate. Quando arrivò l’ora di pranzo, il signore invitò Chris ad unirsi a loro per pranzo, dicendo che sua figlia era un’ottima cuoca. Aveva ragione. Il pasto fu delizioso, anche se non quanto lei. Chris aveva osservato ininterrottamente la giovane ragazza, senza preoccuparsi di sembrare un maniaco o altro. Non poteva distogliere lo sguardo da lei. Era come se i suoi occhi fossero stati rapiti da tanto splendore. Fecero due parole tutti insieme, poi tornò al lavoro. Giunta la sera il lavoro era terminato. Chris salutò e tornò a casa. Per tutto il viaggio pensò a Rachel e alla sua bellezza. Quella era la prima volta in cui si erano visti, diciannove anni prima. Ed ora lei non c’era più. Quella mattina sarebbe stata l’ultima volta. Gli avrebbero concesso di guardarla per qualche minuto da solo, prima di portare la bara contenente il corpo in chiesa e poi al cimitero. Agli altri non sarebbe stata mostrata. Non in quello stato. Lui l’avrebbe osservata, avrebbe baciato per un ultima volta la sua pelle e poi l’avrebbe salutata per sempre. Al pensiero si sentì morire. Il vuoto che lei aveva lasciato era immenso, così come lo era il dolore che ne derivava, ma lui non poteva di certo lasciarsi andare. Doveva essere forte per lei e soprattutto per suo figlio.
3
<<Buongiorno ometto!>> salutò Eddie cercando di riempire la voce con un po’ di allegria e anche se non maniera perfetta riuscì nell’impresa. Si avvicinò al piccolo e cominciò a vestirlo con molta prudenza. Qualche decina di minuti dopo, erano pronti per recarsi al funerale di Rachel. Entrambi indossavano un elegantissimo completo color ebano, su cui risaltava una cravatta grigia chiara. Rachel aveva insistito nel comprarlo per loro, dicendo che non avevano niente da mettere nelle occasioni importanti. Ovviamente non immaginava che la prima occasione in cui l’avrebbero indossato sarebbe stata il suo funerale. Chris aveva già preparato la colazione, mentre aspettava che Eddie si svegliasse. Tutto era pronto in tavola. Aiutò Eddie a sedersi e lo invitò a fare colazione mentre lui si sarebbe assentato per una decina di minuti. Eddie annuì con un cenno della testa. Chris prese l’automobile e raggiunse la chiesa di Lobin. Non si era messo d’accordo col reverendo Robinson per quell’appuntamento, ma confidava che un uomo di fede avrebbe capito il suo desiderio. Spiegò al reverendo che avrebbe voluto vedere per l’ultima volta la sua amata prima che fosse sepolta sotto metri di terra. Lui aveva acconsentito alla richiesta e condotto Chris nella cripta sotto la chiesa. <<Si prenda il tempo che vuole, manca ancora più di mezz’ora al funerale>>. Chris non ci mise molto tempo. Sollevò il coperchio della bara e lei era lì. Avendola già visto il giorno prima, l’effetto negativo della visione fu quasi nullo. La tristezza, invece, era sempre di più. Non dava segno di cedimento. Trattenne le lacrime a forza, porse un bacio alla sua defunta moglie e poi richiuse la bara. Ringraziò il reverendo e uscì. Tornò a casa a prendere Eddie, viaggiando a velocità moderata. Una volta arrivato, entrò e raggiunse Eddie in cucina. Erano passasti una ventina di minuti da quando si era assentato ed Eddie non aveva ancora toccato cibo. Non disse nulla. Era comprensibile che non avesse appetito. L’aiutò ad alzarsi e dopo averlo sorretto mentre si sistemava sul sedile del passeggero partirono verso il cimitero di Lobin che sorgeva sulla cima di una piccola collinetta, appena fuori città. Distava solo una decina di miglia da casa loro. Durante il breve tragitto, l’interno della vettura era rimasto silenzioso. Chris guardava la strada davanti a sé, concentrandosi sul rombo furioso del motore turbo per non pensare ad altro. Eddie osservava gli alberi scorrere veloci ai lati. Cercava di non pensare, ma non ci riusciva. Sua madre non c’era più. Era rimasto da solo con il padre. Sarebbe stato tutto diverso. Chris si era sempre preso cura di lui, ma i suoi modi non era gentili e dolci come quelli di Rachel. In circa una quindicina di minuti giunsero a destinazione. L’Heaven Courtyard, così l’aveva soprannominato il Reverendo Robinson, era molto bello e maestoso, a differenza di quanto ci si possa aspettare da un piccolo paesino come quello. Il perimetro era costituito da un alto muro, ricoperto da una folta siepe rigorosamente potata. L’accesso era protetto da un massiccio cancello nero in ferro battuto. All’interno, vi si trovava un giardino con un elegante manto di un verde lucido e chiaro, ora reso fangoso dalla pioggia. Le lapidi, tutte rigorosamente di color avorio, erano disposte in maniera ordinata ed erano tutte tenute in maniera impeccabile dagli addetti delle pulizie, che erano stati assunti dal reverendo in persona. Il percorso pedonale, molto spazioso e formato da piastrelle di un azzurro chiarissimo quasi bianco, si districava, con perfezione geometrica, tra le bare. Osservandolo dall’alto poteva sembrare un pezzo di cielo sulla Terra. Alle nove e mezza in punto, come stabilito, il funerale iniziò. C’era un modesto gruppo di persone a commemorare la scomparsa della povera Rachel. Non c’erano parenti, perché i pochi parenti che aveva Rachel erano i suoi genitori morti ormai da anni. Chris aveva un fratello, con il quale non aveva rapporti da ormai tredici anni. La maggior parte di quelli che erano presenti erano stati clienti di Rachel. Ricordava vagamente alcuni di loro. C’era una vecchia obesa, il cui nome doveva essere Amanda (Chris non lo ricordava bene) che avevo chiesto a Rachel un ritratto di suo marito molti anni prima. Una coppia, in piedi al centro della folla, aveva chiesto una quadro rappresentante i Monti Suyan. Altri erano lì solo perché non avevano niente di meglio da fare o per non fare brutta figura con gli altri paesani. Il reverendo Robinson andava cantilenando sempre le solite cose che si dicono in queste tristi occasioni. Parole che nella testa di Chris risuonavamo come una monotona e lunga lista di stronzate e alle quali la sua mente, in maniera quasi involontaria, rispondeva con affermazioni e domande colme di cinismo. “Il nostro Signore aveva bisogno di lei accanto a sé” (Perché io e Eddie non avevamo bisogno di lei?) “Ora è in un posto migliore” (Pensa che per lei sia migliore un posto dove non c’è suo figlio?) “Non siate tristi per lei perché ora ha raggiunto la pace e la serenità”. (Anche a casa nostra era serena e in pace) Alle spalle del reverendo, la bara chiusa era sospesa appena sopra la buca fangosa in cui doveva essere calata e sepolta per sempre. Era una bara di un pregiato legno chiaro, dalla fattura semplice e lineare, priva di modanature eccessive, con maniglie color argento. La pioggia aveva rallentato il ritmo, ma non era ancora cessata. Le gocce d’acqua rimbalzavano sulla bara in un triste ticchettio. Eddie e suo padre la fissavano in silenzio con gli occhi sempre più lucidi. Nessuno dei due portava occhiali neri, ma non furono in molti ad accorgersi di quella lucidità. Lacrime taglienti come rasoi erano sul punto di uscire, ma entrambi si fecero coraggio nel tentativo di respingerle. L’amore della loro vita, anzi colei che era la loro stessa vita, stava per essere sepolto per sempre. Eddie era visibilmente stanco e la noiosa cantilena del Reverendo non gli era stata di certo d’aiuto. Le palpebre cominciavano a diventargli pesanti e lui lottava per trattenere gli sbadigli. Dopo una buona trentina di minuti, il reverendo Robinson aveva finalmente smesso di parlare ed era venuto il classico e triste momento del bacio e del saluto prima che la bara sprofondasse eternamente nelle viscere della terra. Una alla volta, le persone si apprestarono a porgere il loro addio, sincero o falso che fosse. Alcune sembrarono dei veri e propri aspiranti attori intenti nel provino che poteva cambiar loro la vita e per un momento Chris s’immaginò che alla fine del saluto si sarebbero girati sorridenti chiedendo alla giuria come fosse andata. Eddie e Chris aspettarono pazientemente che tutti finissero prima di accingersi a quello che sarebbe stato il loro ultimo saluto. Quando tutti si furono scostati, il piccolo, si avvicinò per primo alla bara. Procedeva molto lentamente, con passi corti e faticati, a causa della sua frattura alle costole. Ovviamente non s’inginocchiò. Chinò la testa e posò le labbra sul legno, bagnato dalla pioggia, in un dolce bacio e socchiuse per un istante gli occhi. <<Eddie… aprimi Eddie… è buio qui dentro… Eddie…>> Anche se solo per un momento, il piccolo udì quelle parole, ovattate dalla fodera imbottita, provenire da dentro la bara. Fu spaventato solo in parte. Dopo il brivido iniziale, dovuto alla sorpresa, si convinse che il tutto era accaduto solo perché quella notte aveva avuto quell’incubo e che la sua mente non l’aveva ancora dimenticato. Se fosse stato più grande avrebbe associato l’accaduto al termine auto-suggestione. Rialzò la testa e tornò sui suoi passi. Poi tocco a Chris. Rimase in ginocchio per alcuni minuti, facendo parlare la sua anima. "Rachel, amore mio. Ti amo, ti ho sempre amata e ti amerò per sempre. Nessuna prenderà mai il tuo posto. Te lo prometto. Non piangerò, so che tu non vorresti. Mi prenderò cura io di Eddie. Starà bene. TI prometto che lo aiuterò a prendere dei bei voti a scuola, come vorresti tu. Guardaci da lassù, ok? Noi non ti dimenticheremo mai. Stai attenta agli angeli invidiosi della tua bellezza. Un giorno ci rivedremo…" Quando ebbe finito si alzò in piedi e guardò la bara mentre veniva calata nella fossa. Il suono soffocato che emise giunse sul fondo, segnò l’addio come un rintocco. Era finita. Non l’avrebbe più rivista. Il reverendo Robinson fece cenno agli addetti di cominciare a riempire la fossa. Chris rimase immobile ancora per qualche minuto, fissando i ragazzi mentre gettavano la terra umida sulla bara di sua moglie, che poco a poco scompariva. Eddie notò gli sguardi del resto della gente che fissavano suo padre e lui in maniera evidentemente preoccupata e incuriosita. Li sentiva pesanti e fastidiosi. Alcune vecchie megere stavano già iniziando a commentare sottovoce tra loro, alludendo alle probabilità che aveva il bambino di rimanere traumatizzato a vita. Raccontavano anche di alcuni casi, in cui il marito, rimasto solo, si affogava nell’alcool. Una sera tornava a casa ubriaco, ammazzava di botte il suo povero figlio e poi si toglieva la vita. Eddie, che riuscì a cogliere quelle parole, posò uno sguardo irritato e spaventato allo stesso tempo su quegli ammassi ambulanti di rughe. Loro lo notarono, ma non gli diedero alcuna importanza. Quando suo padre tornò accanto a lui, gli chiese se per favore potevano tornare a casa. Non voleva più stare lì, cominciava a sentirsi poco bene e voleva andarsene. Chris guardò il viso pallido del figlio e acconsentì all’istante. Qualche minuto dopo, i due erano in macchina che procedevano, silenziosi e malinconici, verso la loro abitazione. Da quel momento tutto sarebbe stato diverso.
4
Arrivati a casa, Eddie andò in camera sua, ancora lievemente scosso da quello che aveva udito e si distese sul letto. L’orologio segnava le undici meno un quarto. La pioggia non era ancora cessata, ma il cielo stava iniziando a schiarirsi. I nuvoloni grigi erano ormai quasi svaniti del tutto graffiati dagli artigli del sole. Eddie fissava tutto quanto dalla finestra, mentre tentava di scacciare i brutti pensieri. Pensava che lui non sarebbe impazzito e suo padre non sarebbe diventato un assassino o un alcolizzato o entrambi come quelle rugose vecchie pensavano. Suo padre non era certamente famoso per la sua calma, lo sapeva bene, ma non era cattivo e non aveva mai aggredito nessuno senza motivo. Le volte che era successo era stato perché gli altri l’avevano provocato. Una volta aveva parlato di questo con Chris. Una volta gli aveva chiesto perché in paese tutti lo chiamavano Fiammifero. Lui aveva risposto in maniera scherzosa, dicendo che quel soprannome derivava dal fatto che alla prima scintilla lui si accendeva. Però aveva anche precisato ad Eddie che non voleva dire “essere cattivi”. Semplicemente lui non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, quando veniva provocato reagiva all’istante. Eddie non era ancora abbastanza grande per ragionare sulla logica giusta o sbagliata del padre. Però una cosa la sapeva. Sua madre era una bravissima persona e se amava papà voleva dire che anche lui lo era. Questo quelle vecchie megere non potevano saperlo. Loro si attaccavano ai fatti che gli facevano comodo. Ricordavano le volte in cui Chris aveva litigato con qualcuno del paese, ma dimenticavano le volte in cui lui si era messo a disposizione loro per lavori di edilizia. Pensavano solo a parlare. Non capivano che l’unica cosa che avrebbero voluto era riavere Rachel?
Influenzata da tutti questi pensieri, la mente di Eddie tornò a ferirsi con i sensi di colpa. Non riusciva a darsi pace. Era stato lui a voler andare al Luna Park. Lui e solo lui. Nel frattempo, il sonno iniziò a bussare nella mente del piccolo Eddie, che pochi minuti dopo si addormentò tra i sensi di colpa.
Eddie, svegliato dalla stupida scimmietta, dopo aver recuperato la calma, si accorse del picchiettare della pioggia sul vetro della finestra e si voltò a guardare. Il cielo era grigio e nuvoloso. Le gocce cadevano in un ritmo malinconico e sembravano condividere il suo dolore. Ogni tanto il grigiore era squarciato dal bianco di un lampo. Afferrò Mr. Clap e diede un’occhiata al quadrante che aveva nella pancia. Le otto. Questo voleva dire solo una cosa. Oggi era il giorno del funerale. Ripensò alla madre e gli tornò alla mente ogni parte dell’incidente e dell’incubo che appena vissuto suddivisi in vari flash rapidi e chiari. Cancellò tutto scuotendo la testa. Gli venne da piangere. Ogni volta che cercava di pensare a sua madre, quelle maledette immagini si sostituivano ai suoi pensieri. Avevano tramutato i suoi ricordi in pezzi di vetro insanguinati. Rievocarli significava sentirsi trafiggere il cervello. Cercò di convincersi che fosse del tutto normale. Ricordò le parole del padre. Gli aveva spiegato che l’incidente era avvenuto soltanto il giorno prima, quindi non poteva pretendere di non pensarci più. Aveva aggiunto che col tempo tutto sarebbe tornato alla normalità e gli incubi sarebbero cessati. Lui ci sperava. Lentamente e con molta fatica si mise a sedere sul letto, poi chiamò suo padre perché venisse ad aiutarlo con i vestiti. Chris arrivò pochi istanti dopo nella cameretta del figlio e dalle occhiaie che si scorgevano sotto i suoi occhi, era facile capire che non aveva dormito molto bene neanche lui. La scomparsa di una moglie non è mai facile da sopportare, soprattutto quando si trattava di una donna come Rachel, che non era solo stupenda, ma anche una moglie e una madre perfetta. Ricordava ancora perfettamente quando l’aveva conosciuta.
2
Aveva ventun anni e già da due anni lavorava come muratore per una ditta di Lake City, dove abitava. Un giorno gli fu chiesto di andare a sistemare un muretto da un signore giù a Lobin. Chris accettò e dopo aver chiesto la via, si recò sul luogo. Giunto sul posto venne accolto da un signore che dimostrava all’incirca cinquant’anni. I corti capelli brizzolati erano tirati all’indietro e sul viso spuntavano chiazze di barba grigiastra. Non aveva un bell’aspetto. Parlarono per qualche minuto, durante il quale il signore spiegò come voleva che venisse svolto il lavoro. Precisando che il tutto sarebbe comunque avvenuto sotto la sua supervisione. Chris non fu particolarmente contento di quel comportamento. Pensava che il vecchio lo prendesse per deficiente o per incapace e questo lo infastidiva. Era giovane, vero, ma aveva comunque dimostrato di saperci fare nel suo lavoro. Tuttavia, fu costretto a far finta di nulla. Un cliente è un cliente e se paga per un lavoro, quel lavoro va svolto nel migliori dei modi e sotto le sue regole. Questa era una delle prima cose che aveva imparato. Dopo aver esaminato il lavoro si misero d’accordo. Chris disse che l’indomani mattina presto avrebbe iniziato il lavoro e così fu. Arrivò sul posto intorno alle sette. Il sole era appena sorto e il caldo era sopportabile. Il signore lo accolse e lo invitò a prendere una tazza di caffè. Bevvero insieme e poi uscirono per procedere. Chris lavorava in maniera costante e precisa. L’uomo, che fino al giorno prima aveva dei dubbi sulle capacità del ragazzo, dovette ricredersi. Tutto stava procedendo per il meglio. Giunte le dieci, una giovane fanciulla uscì dalla porta di casa e raggiunse i due in cortile. Buongiorno Papà! esclamò baciandolo sulla guancia. L’uomo ricambiò il saluto chiamandola principessa e baciandola a sua volta, dopodiché la presentò a Chris. Lui per un istante rimase pietrificato da tanta bellezza. Le gambe nude che spuntavano dai corti pantaloncini del pigiama erano da togliere il fiato. La maglietta,troppo larga per il suo fisico esile, poggiava delicatamente sul seno lasciandone intravedere l’elegante forma. I suoi pensieri cominciarono a galoppare verso fantasie puramente maschili. Tornato al mondo reale (anche se sarebbe rimasto volentieri in quello dei sogni ancora per un bel po’) si presentò. I due si strinsero la mano. Rachel, un gran bel nome, disse lui. Lei ringraziò, poi chiese ai due se gradivano qualcosa da bere. Accettarono. Rachel tornò in casa mentre Chris osservava meravigliato l’eleganza con cui quella ragazza si muoveva. Era incantevole. Eccola tornare poco dopo con due limonate ghiacciate. Quando arrivò l’ora di pranzo, il signore invitò Chris ad unirsi a loro per pranzo, dicendo che sua figlia era un’ottima cuoca. Aveva ragione. Il pasto fu delizioso, anche se non quanto lei. Chris aveva osservato ininterrottamente la giovane ragazza, senza preoccuparsi di sembrare un maniaco o altro. Non poteva distogliere lo sguardo da lei. Era come se i suoi occhi fossero stati rapiti da tanto splendore. Fecero due parole tutti insieme, poi tornò al lavoro. Giunta la sera il lavoro era terminato. Chris salutò e tornò a casa. Per tutto il viaggio pensò a Rachel e alla sua bellezza. Quella era la prima volta in cui si erano visti, diciannove anni prima. Ed ora lei non c’era più. Quella mattina sarebbe stata l’ultima volta. Gli avrebbero concesso di guardarla per qualche minuto da solo, prima di portare la bara contenente il corpo in chiesa e poi al cimitero. Agli altri non sarebbe stata mostrata. Non in quello stato. Lui l’avrebbe osservata, avrebbe baciato per un ultima volta la sua pelle e poi l’avrebbe salutata per sempre. Al pensiero si sentì morire. Il vuoto che lei aveva lasciato era immenso, così come lo era il dolore che ne derivava, ma lui non poteva di certo lasciarsi andare. Doveva essere forte per lei e soprattutto per suo figlio.
3
<<Buongiorno ometto!>> salutò Eddie cercando di riempire la voce con un po’ di allegria e anche se non maniera perfetta riuscì nell’impresa. Si avvicinò al piccolo e cominciò a vestirlo con molta prudenza. Qualche decina di minuti dopo, erano pronti per recarsi al funerale di Rachel. Entrambi indossavano un elegantissimo completo color ebano, su cui risaltava una cravatta grigia chiara. Rachel aveva insistito nel comprarlo per loro, dicendo che non avevano niente da mettere nelle occasioni importanti. Ovviamente non immaginava che la prima occasione in cui l’avrebbero indossato sarebbe stata il suo funerale. Chris aveva già preparato la colazione, mentre aspettava che Eddie si svegliasse. Tutto era pronto in tavola. Aiutò Eddie a sedersi e lo invitò a fare colazione mentre lui si sarebbe assentato per una decina di minuti. Eddie annuì con un cenno della testa. Chris prese l’automobile e raggiunse la chiesa di Lobin. Non si era messo d’accordo col reverendo Robinson per quell’appuntamento, ma confidava che un uomo di fede avrebbe capito il suo desiderio. Spiegò al reverendo che avrebbe voluto vedere per l’ultima volta la sua amata prima che fosse sepolta sotto metri di terra. Lui aveva acconsentito alla richiesta e condotto Chris nella cripta sotto la chiesa. <<Si prenda il tempo che vuole, manca ancora più di mezz’ora al funerale>>. Chris non ci mise molto tempo. Sollevò il coperchio della bara e lei era lì. Avendola già visto il giorno prima, l’effetto negativo della visione fu quasi nullo. La tristezza, invece, era sempre di più. Non dava segno di cedimento. Trattenne le lacrime a forza, porse un bacio alla sua defunta moglie e poi richiuse la bara. Ringraziò il reverendo e uscì. Tornò a casa a prendere Eddie, viaggiando a velocità moderata. Una volta arrivato, entrò e raggiunse Eddie in cucina. Erano passasti una ventina di minuti da quando si era assentato ed Eddie non aveva ancora toccato cibo. Non disse nulla. Era comprensibile che non avesse appetito. L’aiutò ad alzarsi e dopo averlo sorretto mentre si sistemava sul sedile del passeggero partirono verso il cimitero di Lobin che sorgeva sulla cima di una piccola collinetta, appena fuori città. Distava solo una decina di miglia da casa loro. Durante il breve tragitto, l’interno della vettura era rimasto silenzioso. Chris guardava la strada davanti a sé, concentrandosi sul rombo furioso del motore turbo per non pensare ad altro. Eddie osservava gli alberi scorrere veloci ai lati. Cercava di non pensare, ma non ci riusciva. Sua madre non c’era più. Era rimasto da solo con il padre. Sarebbe stato tutto diverso. Chris si era sempre preso cura di lui, ma i suoi modi non era gentili e dolci come quelli di Rachel. In circa una quindicina di minuti giunsero a destinazione. L’Heaven Courtyard, così l’aveva soprannominato il Reverendo Robinson, era molto bello e maestoso, a differenza di quanto ci si possa aspettare da un piccolo paesino come quello. Il perimetro era costituito da un alto muro, ricoperto da una folta siepe rigorosamente potata. L’accesso era protetto da un massiccio cancello nero in ferro battuto. All’interno, vi si trovava un giardino con un elegante manto di un verde lucido e chiaro, ora reso fangoso dalla pioggia. Le lapidi, tutte rigorosamente di color avorio, erano disposte in maniera ordinata ed erano tutte tenute in maniera impeccabile dagli addetti delle pulizie, che erano stati assunti dal reverendo in persona. Il percorso pedonale, molto spazioso e formato da piastrelle di un azzurro chiarissimo quasi bianco, si districava, con perfezione geometrica, tra le bare. Osservandolo dall’alto poteva sembrare un pezzo di cielo sulla Terra. Alle nove e mezza in punto, come stabilito, il funerale iniziò. C’era un modesto gruppo di persone a commemorare la scomparsa della povera Rachel. Non c’erano parenti, perché i pochi parenti che aveva Rachel erano i suoi genitori morti ormai da anni. Chris aveva un fratello, con il quale non aveva rapporti da ormai tredici anni. La maggior parte di quelli che erano presenti erano stati clienti di Rachel. Ricordava vagamente alcuni di loro. C’era una vecchia obesa, il cui nome doveva essere Amanda (Chris non lo ricordava bene) che avevo chiesto a Rachel un ritratto di suo marito molti anni prima. Una coppia, in piedi al centro della folla, aveva chiesto una quadro rappresentante i Monti Suyan. Altri erano lì solo perché non avevano niente di meglio da fare o per non fare brutta figura con gli altri paesani. Il reverendo Robinson andava cantilenando sempre le solite cose che si dicono in queste tristi occasioni. Parole che nella testa di Chris risuonavamo come una monotona e lunga lista di stronzate e alle quali la sua mente, in maniera quasi involontaria, rispondeva con affermazioni e domande colme di cinismo. “Il nostro Signore aveva bisogno di lei accanto a sé” (Perché io e Eddie non avevamo bisogno di lei?) “Ora è in un posto migliore” (Pensa che per lei sia migliore un posto dove non c’è suo figlio?) “Non siate tristi per lei perché ora ha raggiunto la pace e la serenità”. (Anche a casa nostra era serena e in pace) Alle spalle del reverendo, la bara chiusa era sospesa appena sopra la buca fangosa in cui doveva essere calata e sepolta per sempre. Era una bara di un pregiato legno chiaro, dalla fattura semplice e lineare, priva di modanature eccessive, con maniglie color argento. La pioggia aveva rallentato il ritmo, ma non era ancora cessata. Le gocce d’acqua rimbalzavano sulla bara in un triste ticchettio. Eddie e suo padre la fissavano in silenzio con gli occhi sempre più lucidi. Nessuno dei due portava occhiali neri, ma non furono in molti ad accorgersi di quella lucidità. Lacrime taglienti come rasoi erano sul punto di uscire, ma entrambi si fecero coraggio nel tentativo di respingerle. L’amore della loro vita, anzi colei che era la loro stessa vita, stava per essere sepolto per sempre. Eddie era visibilmente stanco e la noiosa cantilena del Reverendo non gli era stata di certo d’aiuto. Le palpebre cominciavano a diventargli pesanti e lui lottava per trattenere gli sbadigli. Dopo una buona trentina di minuti, il reverendo Robinson aveva finalmente smesso di parlare ed era venuto il classico e triste momento del bacio e del saluto prima che la bara sprofondasse eternamente nelle viscere della terra. Una alla volta, le persone si apprestarono a porgere il loro addio, sincero o falso che fosse. Alcune sembrarono dei veri e propri aspiranti attori intenti nel provino che poteva cambiar loro la vita e per un momento Chris s’immaginò che alla fine del saluto si sarebbero girati sorridenti chiedendo alla giuria come fosse andata. Eddie e Chris aspettarono pazientemente che tutti finissero prima di accingersi a quello che sarebbe stato il loro ultimo saluto. Quando tutti si furono scostati, il piccolo, si avvicinò per primo alla bara. Procedeva molto lentamente, con passi corti e faticati, a causa della sua frattura alle costole. Ovviamente non s’inginocchiò. Chinò la testa e posò le labbra sul legno, bagnato dalla pioggia, in un dolce bacio e socchiuse per un istante gli occhi. <<Eddie… aprimi Eddie… è buio qui dentro… Eddie…>> Anche se solo per un momento, il piccolo udì quelle parole, ovattate dalla fodera imbottita, provenire da dentro la bara. Fu spaventato solo in parte. Dopo il brivido iniziale, dovuto alla sorpresa, si convinse che il tutto era accaduto solo perché quella notte aveva avuto quell’incubo e che la sua mente non l’aveva ancora dimenticato. Se fosse stato più grande avrebbe associato l’accaduto al termine auto-suggestione. Rialzò la testa e tornò sui suoi passi. Poi tocco a Chris. Rimase in ginocchio per alcuni minuti, facendo parlare la sua anima. "Rachel, amore mio. Ti amo, ti ho sempre amata e ti amerò per sempre. Nessuna prenderà mai il tuo posto. Te lo prometto. Non piangerò, so che tu non vorresti. Mi prenderò cura io di Eddie. Starà bene. TI prometto che lo aiuterò a prendere dei bei voti a scuola, come vorresti tu. Guardaci da lassù, ok? Noi non ti dimenticheremo mai. Stai attenta agli angeli invidiosi della tua bellezza. Un giorno ci rivedremo…" Quando ebbe finito si alzò in piedi e guardò la bara mentre veniva calata nella fossa. Il suono soffocato che emise giunse sul fondo, segnò l’addio come un rintocco. Era finita. Non l’avrebbe più rivista. Il reverendo Robinson fece cenno agli addetti di cominciare a riempire la fossa. Chris rimase immobile ancora per qualche minuto, fissando i ragazzi mentre gettavano la terra umida sulla bara di sua moglie, che poco a poco scompariva. Eddie notò gli sguardi del resto della gente che fissavano suo padre e lui in maniera evidentemente preoccupata e incuriosita. Li sentiva pesanti e fastidiosi. Alcune vecchie megere stavano già iniziando a commentare sottovoce tra loro, alludendo alle probabilità che aveva il bambino di rimanere traumatizzato a vita. Raccontavano anche di alcuni casi, in cui il marito, rimasto solo, si affogava nell’alcool. Una sera tornava a casa ubriaco, ammazzava di botte il suo povero figlio e poi si toglieva la vita. Eddie, che riuscì a cogliere quelle parole, posò uno sguardo irritato e spaventato allo stesso tempo su quegli ammassi ambulanti di rughe. Loro lo notarono, ma non gli diedero alcuna importanza. Quando suo padre tornò accanto a lui, gli chiese se per favore potevano tornare a casa. Non voleva più stare lì, cominciava a sentirsi poco bene e voleva andarsene. Chris guardò il viso pallido del figlio e acconsentì all’istante. Qualche minuto dopo, i due erano in macchina che procedevano, silenziosi e malinconici, verso la loro abitazione. Da quel momento tutto sarebbe stato diverso.
4
Arrivati a casa, Eddie andò in camera sua, ancora lievemente scosso da quello che aveva udito e si distese sul letto. L’orologio segnava le undici meno un quarto. La pioggia non era ancora cessata, ma il cielo stava iniziando a schiarirsi. I nuvoloni grigi erano ormai quasi svaniti del tutto graffiati dagli artigli del sole. Eddie fissava tutto quanto dalla finestra, mentre tentava di scacciare i brutti pensieri. Pensava che lui non sarebbe impazzito e suo padre non sarebbe diventato un assassino o un alcolizzato o entrambi come quelle rugose vecchie pensavano. Suo padre non era certamente famoso per la sua calma, lo sapeva bene, ma non era cattivo e non aveva mai aggredito nessuno senza motivo. Le volte che era successo era stato perché gli altri l’avevano provocato. Una volta aveva parlato di questo con Chris. Una volta gli aveva chiesto perché in paese tutti lo chiamavano Fiammifero. Lui aveva risposto in maniera scherzosa, dicendo che quel soprannome derivava dal fatto che alla prima scintilla lui si accendeva. Però aveva anche precisato ad Eddie che non voleva dire “essere cattivi”. Semplicemente lui non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, quando veniva provocato reagiva all’istante. Eddie non era ancora abbastanza grande per ragionare sulla logica giusta o sbagliata del padre. Però una cosa la sapeva. Sua madre era una bravissima persona e se amava papà voleva dire che anche lui lo era. Questo quelle vecchie megere non potevano saperlo. Loro si attaccavano ai fatti che gli facevano comodo. Ricordavano le volte in cui Chris aveva litigato con qualcuno del paese, ma dimenticavano le volte in cui lui si era messo a disposizione loro per lavori di edilizia. Pensavano solo a parlare. Non capivano che l’unica cosa che avrebbero voluto era riavere Rachel?
Influenzata da tutti questi pensieri, la mente di Eddie tornò a ferirsi con i sensi di colpa. Non riusciva a darsi pace. Era stato lui a voler andare al Luna Park. Lui e solo lui. Nel frattempo, il sonno iniziò a bussare nella mente del piccolo Eddie, che pochi minuti dopo si addormentò tra i sensi di colpa.