Stanza 4.5# Il Presepio
Aprii la porta e varcai la soglia con una rapidità impressionante. Dovevo scoprire se le mie deduzione fossero esatte. Tuttavia, la fretta non è mai cosa buona e proprio per quello non mi accorsi di una differenza essenziale. Almeno fino a quando non ci fui dentro e fu troppo tardi per tornare indietro. Oltre la porta numero quattro, non c’era nulla. Precipitai in un lungo tunnel nero e argento, apparentemente fatto di Spazio. Più scendevo e più l’aria diventava rarefatta. Sentivo la mente annebbiarsi e allontanarsi. I polmoni cominciavano a faticare nel loro compito e il cuore pompava sempre di meno. La caduta era lenta, come se venissi cullato, ma le mie funzioni vitali stavano per cessare. Ero cullato dalla Morte. Lottavo contro i miei sensi, cercando di non permettergli di abbandonarmi, ma alla fine vinsero loro e se andarono. Svenni.
Non so quanto tempo sia passato, ma quando mi risvegliai notai con sorpresa che ero in una distesa come quella che mi aveva condotto alla Torre. Gli alberi al contrario, con le radici protese verso il cielo porpora, come mani assetate in attesa di una pioggia di sangue. Stormi di corvi rompevano il silenzio con le loro voci strozzate. Al centro della distesa, tuttavia, non c’era nessuna Torre. Dove avrebbe dovuto sorgere la macabra struttura, vi era invece una piccola struttura circolare. Non era alta più di mezzo metro, almeno da quanto sembrava. Mi avvicinai per fare chiarezza sulla costruzione. Il “mistero” fu presto rivelato. Un cancro fatto di mattoni, alto non più di un metro. Un paio di chele erano chiuse mentre le altre, aperte, abbracciavano la metà di un pozzo. Guardai dentro e rimasi stupefatto.
La Terra.
Fu uno spettacolo meraviglioso, come se stessi osservando il mio pianeta natale attraverso un grosso telescopio situato da qualche parte nella Galassia. Guardavo la Terra (che era una poco più grossa di un pallone da calcio in quell’immagine) e nel contempo la mia mente vagava in cerca d’ipotesi. Se la Terra era sotto di me, io dove mi trovavo? Possibile che la cantina di mio nonno fosse una sorta di portale dimensionale? Possibile. Fino a un giorno prima non avrei creduto a nulla di tutto ciò, ma in quella situazione la mia mente si era aperta alle teorie più fantasiose. Persino il concetto di tempo aveva perso la sua solidità. Non era detto che in quel luogo il tempo scorresse in modo uguale.
Non era nemmeno detto che scorresse.
Quello che vedevo all’interno del pozzo-telescopio iniziò a mutare. La Terra abbandonò lentamente la sua forma originale, aprendosi dal basso, come una grossa pallina di carta che torna ad essere un normale foglio. Una volta distesa, alcuni punti brillarono per un istante di una luce intensa. Non riuscì a contarne il numero, tuttavia non sembravano disposti a caso. Il tutto era durato troppo poco per esserne sicuro della completezza di quel presunto disegno, però ero sicuro che quattro punti erano disposti in una linea retta disposta in diagonale. Dopo lo breve scintillare di quei punti imprecisati, il pozzo si chiuse, accompagnato da un rumore metallico, e sprofondò nel suolo. Da quel momento tutto cambiò. L’aria assunse l’aroma della morte, il silenzio fu strappato da urla straziate. Il cielo cambio dal porpora al nero. In lontananza apparve un gigantesco numero 5. Brillava di una luce dorata, come una di quelle insegne nei casino di Las Vegas. La luna apparve colossale e pallida nel cielo nero, sputando un po’ della sua luce sul quell’ambiente di mutazione. Le radici degli alberi rovesciati si allungarono serpeggianti. Sembravano vere e proprie serpenti in cerca di una preda. Puntarono verso di me. Corsi via senza pensarci due volte, dirigendomi verso il grande 5 luminoso. Ci furono due lampi color cremisi e poi il cielo cominciò a versare lacrime di sangue. La pioggia cadde pesante e violenta. L’intera distesa fu ben presto allagata dal sangue. Proseguì ancora per un paio di miglia. Il 5 si avvicinava ma era sempre troppo lontano. Le radici non davano segno di resa, la pioggia aumentava e un vento rovente stava iniziando a soffiarmi addosso. Proseguire stava diventando sempre più difficile e ben presto sarebbe stato impossibile. Iniziai a vagare con lo sguardo in ogni direzione, cercando un possibile riparo. Il buio e la pioggia non erano certo d’aiuto. Non si riusciva a vedere nulla di nulla. Continuai a correre. Una radice scattò verso la mia caviglia e la scampai per un centimetro. Nonostante la stanchezza accelerai. Il vento soffiava sempre più rovente e la pioggia sempre più fitta. Mi sembrava di essere sotto una cascata di sangue bollente. Corsi e corsi ancora. Non avevo nessuna intenzione di finire avvinghiato da quelle radici. Ci fu un lampo. Nell’attimo di chiarore riuscì a intravedere quella che sembrava una piccola abitazione scura, non molto distante, sulla destra. Scattai in quella direzione a massima velocità, dando fondo a tutte le mie ultime risorse. Mi fiondai verso la porta e tentai di aprire. Era aperta.
Dentro era tutto tranquillo. L’aria era tiepida e aveva un aroma di muschio e incenso. Era una stanza unica e minuscola, come quei rifugi che si trovano in montagna. Al centro del pavimento c’era una botola. Decisi di aprire e dare una controllata. Un tunnel procedeva verso nord. Pensai che poteva essere una sorta di collegamento sotterraneo con l’ingresso della stanza numero 5. Avanzai con molta calma. I muscoli delle gambe protestavano ad ogni passo. Il tunnel terminò davanti a una porta di metallo. Sopra c’era incisa la parola PRESEPIO. Varcai la soglia.
Una volta dentro trovai un migliaio di occhi puntati su di me. Corpi evanescenti iniziarono ad avvicinarsi, rivolgendosi a me in una moltitudine di voci. Osservavo spiazzato la scena. Non sembravano avere cattive intenzione, ma non riuscivo a capire nulla di quello che dicevano. Parlavano tutte a tempo, in molte lingue diverse. Poi qualcuno urlò e tutto tacque. La folla si separò e uno spettro venne verso di me.
Benvenuto nel Presepio.
Nel Presepio?
Esatto. Qui risiedono tutte le anime di chi ha perso la vita all’interno della Torre o delle persone che si sono arrese. Tu che intenzioni hai?
Io non voglio arrendermi. Si può raggiungere la stanza numero 5 da qui?
Certamente. Varca quella porta e segui la Via dei Morti fino in fondo. Non puoi sbagliare. Attento ai Morti.
I morti?
Si proprio così. Alcuni di quelli che hanno perso la vita, e insieme ad essa la ragione, vagano per la Via dei Morti.
Farò attenzione. Addio.
Addio o Arrivederci. Buon viaggio.
Superai la porta e mi fermai subito dopo di essa. Il tunnel che si allungava dinnanzi a me era umido e illuminato da una luce molto flebile. Calcolai che non doveva essere molto lungo. Avrei voluto attraversarlo di corsa, ma ero troppo stanco, così avanzai camminando. Non feci nemmeno in tempo a compiere il quarto passo che un infinità di ombre uscirono dalle pareti. Iniziarono a cercare di toccarmi, trapassandomi con le loro mani spettrali. Sentivo i miei organi accarezzati da dita gelide. Una sembrò volermi prendere per mano. Bisbigliavano frasi incomprensibili. Alcune era inginocchiate lungo la parete. Piangevano e pregavano. Avanzai attraverso di loro senza pensarci. Dovevo andare fino in fondo. Un ombra mi attraverso il cervello come una lancia di ghiaccio. Rischiai di cadere, ma ripresi l’equilibrio. Avanti. Più recuperavo le forze e più aumentavo l’andatura. Ad ogni contatto con un ombra era come se un ago, freddo e spesso, entrasse nella mia mente. La sentivo congelarsi passo dopo passo. Mi portai una mano al viso e notai con terrore che era nera. In quel momento venni a conoscenza del vero pericolo. Non era il dover sopportare quella sensazione gelida e nauseante del essere toccato, ma il riuscire ad arrivare in fondo prima di venire trasformato in un ombra. Raccolsi le mie forze e corsi. Dritto e furioso come la carica di un toro. Sentivo i contatti uno dopo l’altro sulla pelle. Mortali dita cancerogene. I miei organi sembravano appassire uno dopo l’altro. Lo stomaco iniziò a contrarsi, i polmoni faticavano a gonfiarsi, i battiti del cuore stavano rallentando al minimo. La mente cominciava a spegnersi e con essa la vista e l’udito. Stavo perdendo contatto col mondo esterno. Per fortuna, come avevo previsto il tunnel non era molto lungo. Arrivai in fondo e aprì la porta davanti a me. Varcai la soglia e mi lasciai cadere per terra. Ero stremato.
Era un piccola stanza, come una sala d’attesa. Presi fiato e tolsi la maglietta per controllare il mio corpo. Le macchie nere iniziarono lentamente a svanire. Trassi un bel respiro. Tanto spavento per nulla. Mi guardai intorno e lei era lì. In metallo arrugginito come le altre, l’orologio a forma di Leone e entrambe le lancette sul 5. Le cinque e venticinque. Cinque più venticinque diviso cinque. Sei. Se la mia teoria era giusta la stanza avrebbe interagito con me solo in parte, esattamente com’era stato per la numero due.
Ora non mi restava che entrare e scoprirlo.
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Non so quanto tempo sia passato, ma quando mi risvegliai notai con sorpresa che ero in una distesa come quella che mi aveva condotto alla Torre. Gli alberi al contrario, con le radici protese verso il cielo porpora, come mani assetate in attesa di una pioggia di sangue. Stormi di corvi rompevano il silenzio con le loro voci strozzate. Al centro della distesa, tuttavia, non c’era nessuna Torre. Dove avrebbe dovuto sorgere la macabra struttura, vi era invece una piccola struttura circolare. Non era alta più di mezzo metro, almeno da quanto sembrava. Mi avvicinai per fare chiarezza sulla costruzione. Il “mistero” fu presto rivelato. Un cancro fatto di mattoni, alto non più di un metro. Un paio di chele erano chiuse mentre le altre, aperte, abbracciavano la metà di un pozzo. Guardai dentro e rimasi stupefatto.
La Terra.
Fu uno spettacolo meraviglioso, come se stessi osservando il mio pianeta natale attraverso un grosso telescopio situato da qualche parte nella Galassia. Guardavo la Terra (che era una poco più grossa di un pallone da calcio in quell’immagine) e nel contempo la mia mente vagava in cerca d’ipotesi. Se la Terra era sotto di me, io dove mi trovavo? Possibile che la cantina di mio nonno fosse una sorta di portale dimensionale? Possibile. Fino a un giorno prima non avrei creduto a nulla di tutto ciò, ma in quella situazione la mia mente si era aperta alle teorie più fantasiose. Persino il concetto di tempo aveva perso la sua solidità. Non era detto che in quel luogo il tempo scorresse in modo uguale.
Non era nemmeno detto che scorresse.
Quello che vedevo all’interno del pozzo-telescopio iniziò a mutare. La Terra abbandonò lentamente la sua forma originale, aprendosi dal basso, come una grossa pallina di carta che torna ad essere un normale foglio. Una volta distesa, alcuni punti brillarono per un istante di una luce intensa. Non riuscì a contarne il numero, tuttavia non sembravano disposti a caso. Il tutto era durato troppo poco per esserne sicuro della completezza di quel presunto disegno, però ero sicuro che quattro punti erano disposti in una linea retta disposta in diagonale. Dopo lo breve scintillare di quei punti imprecisati, il pozzo si chiuse, accompagnato da un rumore metallico, e sprofondò nel suolo. Da quel momento tutto cambiò. L’aria assunse l’aroma della morte, il silenzio fu strappato da urla straziate. Il cielo cambio dal porpora al nero. In lontananza apparve un gigantesco numero 5. Brillava di una luce dorata, come una di quelle insegne nei casino di Las Vegas. La luna apparve colossale e pallida nel cielo nero, sputando un po’ della sua luce sul quell’ambiente di mutazione. Le radici degli alberi rovesciati si allungarono serpeggianti. Sembravano vere e proprie serpenti in cerca di una preda. Puntarono verso di me. Corsi via senza pensarci due volte, dirigendomi verso il grande 5 luminoso. Ci furono due lampi color cremisi e poi il cielo cominciò a versare lacrime di sangue. La pioggia cadde pesante e violenta. L’intera distesa fu ben presto allagata dal sangue. Proseguì ancora per un paio di miglia. Il 5 si avvicinava ma era sempre troppo lontano. Le radici non davano segno di resa, la pioggia aumentava e un vento rovente stava iniziando a soffiarmi addosso. Proseguire stava diventando sempre più difficile e ben presto sarebbe stato impossibile. Iniziai a vagare con lo sguardo in ogni direzione, cercando un possibile riparo. Il buio e la pioggia non erano certo d’aiuto. Non si riusciva a vedere nulla di nulla. Continuai a correre. Una radice scattò verso la mia caviglia e la scampai per un centimetro. Nonostante la stanchezza accelerai. Il vento soffiava sempre più rovente e la pioggia sempre più fitta. Mi sembrava di essere sotto una cascata di sangue bollente. Corsi e corsi ancora. Non avevo nessuna intenzione di finire avvinghiato da quelle radici. Ci fu un lampo. Nell’attimo di chiarore riuscì a intravedere quella che sembrava una piccola abitazione scura, non molto distante, sulla destra. Scattai in quella direzione a massima velocità, dando fondo a tutte le mie ultime risorse. Mi fiondai verso la porta e tentai di aprire. Era aperta.
Dentro era tutto tranquillo. L’aria era tiepida e aveva un aroma di muschio e incenso. Era una stanza unica e minuscola, come quei rifugi che si trovano in montagna. Al centro del pavimento c’era una botola. Decisi di aprire e dare una controllata. Un tunnel procedeva verso nord. Pensai che poteva essere una sorta di collegamento sotterraneo con l’ingresso della stanza numero 5. Avanzai con molta calma. I muscoli delle gambe protestavano ad ogni passo. Il tunnel terminò davanti a una porta di metallo. Sopra c’era incisa la parola PRESEPIO. Varcai la soglia.
Una volta dentro trovai un migliaio di occhi puntati su di me. Corpi evanescenti iniziarono ad avvicinarsi, rivolgendosi a me in una moltitudine di voci. Osservavo spiazzato la scena. Non sembravano avere cattive intenzione, ma non riuscivo a capire nulla di quello che dicevano. Parlavano tutte a tempo, in molte lingue diverse. Poi qualcuno urlò e tutto tacque. La folla si separò e uno spettro venne verso di me.
Benvenuto nel Presepio.
Nel Presepio?
Esatto. Qui risiedono tutte le anime di chi ha perso la vita all’interno della Torre o delle persone che si sono arrese. Tu che intenzioni hai?
Io non voglio arrendermi. Si può raggiungere la stanza numero 5 da qui?
Certamente. Varca quella porta e segui la Via dei Morti fino in fondo. Non puoi sbagliare. Attento ai Morti.
I morti?
Si proprio così. Alcuni di quelli che hanno perso la vita, e insieme ad essa la ragione, vagano per la Via dei Morti.
Farò attenzione. Addio.
Addio o Arrivederci. Buon viaggio.
Superai la porta e mi fermai subito dopo di essa. Il tunnel che si allungava dinnanzi a me era umido e illuminato da una luce molto flebile. Calcolai che non doveva essere molto lungo. Avrei voluto attraversarlo di corsa, ma ero troppo stanco, così avanzai camminando. Non feci nemmeno in tempo a compiere il quarto passo che un infinità di ombre uscirono dalle pareti. Iniziarono a cercare di toccarmi, trapassandomi con le loro mani spettrali. Sentivo i miei organi accarezzati da dita gelide. Una sembrò volermi prendere per mano. Bisbigliavano frasi incomprensibili. Alcune era inginocchiate lungo la parete. Piangevano e pregavano. Avanzai attraverso di loro senza pensarci. Dovevo andare fino in fondo. Un ombra mi attraverso il cervello come una lancia di ghiaccio. Rischiai di cadere, ma ripresi l’equilibrio. Avanti. Più recuperavo le forze e più aumentavo l’andatura. Ad ogni contatto con un ombra era come se un ago, freddo e spesso, entrasse nella mia mente. La sentivo congelarsi passo dopo passo. Mi portai una mano al viso e notai con terrore che era nera. In quel momento venni a conoscenza del vero pericolo. Non era il dover sopportare quella sensazione gelida e nauseante del essere toccato, ma il riuscire ad arrivare in fondo prima di venire trasformato in un ombra. Raccolsi le mie forze e corsi. Dritto e furioso come la carica di un toro. Sentivo i contatti uno dopo l’altro sulla pelle. Mortali dita cancerogene. I miei organi sembravano appassire uno dopo l’altro. Lo stomaco iniziò a contrarsi, i polmoni faticavano a gonfiarsi, i battiti del cuore stavano rallentando al minimo. La mente cominciava a spegnersi e con essa la vista e l’udito. Stavo perdendo contatto col mondo esterno. Per fortuna, come avevo previsto il tunnel non era molto lungo. Arrivai in fondo e aprì la porta davanti a me. Varcai la soglia e mi lasciai cadere per terra. Ero stremato.
Era un piccola stanza, come una sala d’attesa. Presi fiato e tolsi la maglietta per controllare il mio corpo. Le macchie nere iniziarono lentamente a svanire. Trassi un bel respiro. Tanto spavento per nulla. Mi guardai intorno e lei era lì. In metallo arrugginito come le altre, l’orologio a forma di Leone e entrambe le lancette sul 5. Le cinque e venticinque. Cinque più venticinque diviso cinque. Sei. Se la mia teoria era giusta la stanza avrebbe interagito con me solo in parte, esattamente com’era stato per la numero due.
Ora non mi restava che entrare e scoprirlo.
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