Stanza #5
Per quanto può sembrare strano e malato, davanti a qualcosa che non comprendiamo, qualcosa che va contro le nostre idee morali ed etiche, la mente cambia. Adatta i suoi pensieri alla situazione. Gente che non ha mai ucciso si trasforma in serial killer, gente che non avrebbe mai pensato di torcere un capello ad una bambina diventa pedofila e così via. Probabilmente gli strizzacervelli saprebbero dare una spiegazione medico-scientifica perfetta per quanto avviene all’interno della nostra mente in quelle corcostanze. Io credo che dentro ognuno di noi ci sia una parte di Caos. E in determinate situazioni quel Caos prevale su ogni altra sensazione e stravolge ciò che siamo. Quante volte persone ridono come pazzi davanti ad una tragedia che gli ha appena colpiti? La sofferenza è troppa, il cuore è infranto e la mente a brandelli cede. In quei momenti nasce la Follia.
Fu proprio dopo appena prima di entrare nella stanza numero 5 che il Caos iniziò a insidarsi nella mia mente. Avevo migliaia di dubbi in testa e lo spazio per la paura era sempre meno. Cose il cui solo pensiero, fino al giorno prima, mi avrebbe disgustato, in quel momento venivano accettate senza troppi sforzi. Mi importava soltanto di una cosa. Andare avanti. Scoprire il meccanismo di quella Torre, il suo funzionamento, la sua storia. Era stata creata? Era nata dal nulla? E a quale scopo? Cosa aveva a che fare con mio nonno? E con me?
Se vi elencassi tutte le domande che in quel momento mi ronzavano in testa probabilmente non mi basterebbero due o tre diari. Che strana cosa che è la mente. Un momento vuole scappare e poi basta una cosa, una semplice cosa che la incuriosisce, che non comprende, e subito sente il bisogno di andare a fondo in quella cosa. Vuole capirla. Deve capirla. Perché ciò che non conosciamo a volte spaventa, ma molte volte attira. Chi non ha mai pensato di entrare in una porta dove c’era affisso un cartello che lo vietava? Chi non ha mai smontato qualcosa solo per vedere cosa ci fosse all’interno?
Quest’ultimo era il mio caso. Io ero all’interno della Torre, ma mi sentivo come sulla punta di un iceberg. E io volevo scoprire cosa si nascondesse al di sotto. La stanza numero 5 non mi aiutò a capirlo. Andò contro le mie previsioni.
Per cominciare l’interno fu totalmente diverso. Pareti, pavimenti e l’arredamento, composto da una solitaria barella, era completamente carbonizzato. L’aria era irrespirabile, come se l’incendio che aveva bruciato ogni cosa si fosse appena estinto. Tuttavia non c’erano tracce di fumo. Dalla porta in fondo alla stanza entrarono quattro figure che reggevano in braccio una quinta persona. Quest’ultima si dimenava come un pazzo. Gridava, cercava di scalciare e divincolarsi, piangeva.
Una gabbia infuocata scese dal soffitto imprigionandomi per impedirmi di interferire con quanto sarebbe avvenuto dopo. Fu una reminiscenza, come nella prima stanza, diversamente da quanto avevo dedotto. Una nuova domanda nacque nel mio cervello. Perché imprigionarmi? Non mi sarebbe stato comunque possibile modificare il corso di eventi già avvenuti. Non mi era nemmeno stato possibile influire sull’uomo nella stanza numero 3. O meglio, mi era stato possibile ucciderlo, ma appena lasciai la stanza lui tornò in vita e tutto ricominciò. Quindi perché impedirmi di agire? Un'altra domanda senza risposta.
Dopo che le quattro figure ebbero assicurato l’ostaggio alla barella, la voce metallica parlò. Una nuova lingua. Non riconobbi alcuna parola, ma dalla pronuncia sembrava una lingua balcanica. Tuttavia, non ho alcuna certezza di questo.
Lo spettacolo iniziò. L’uomo era legato a pancia in giù. Una delle quattro figure prese un paio di forbici e tagliò la maglietta in metà, scoprendo la schiena della povera vittima. La seconda figura si recò in un angolo della stanza. Era in penombra e fino ad allora non avevo nemmeno notato la piccola cassa che la persona aprì. Prese un registratore e lo posizionò a pochi centimetri dal volto dell’uomo legato. La terza figura estrasse dalla tasca un pennarello. La mano sinistra iniziò a tastare la schiena della vittima e a seguire delle linee precise. Ero abbastanza vicino per poter vedere ogni cosa. Poco dopo la mano destra iniziò a disegnare. In quel momento tutto ebbe senso. Con la sinistra aveva cercato e trovato la posizione esatta delle vertebre e delle costole e ora con la destra le stava disegnando sulla pelle. Quando finì il suo lavoro. La quarta figura si recò alla cassa e ne tirò una fiamma ossidrica. Si avvicinò all’ostaggio e fece un cenno con la testa. Il tipo che aveva posizionato il registratore premette il pulsante rosso. Il nastro iniziò a girare emettendo un rumore sommesso.
Quello fu l’inizio di tutto.
La quarta figura iniziò a ripassare il disegno con la fiamma ossidrica, come se stesse effettuando un tatuaggio. L’uomo legato iniziò a gridare. Fu un suono impressionante. Legioni e legioni di anime infuriate che urlano mentre vengono incenerite dalla luce. Mai, in vita mia, avrei potuto anche solo immaginare che una gola umana potesse riprodurre un tale suono. La pelle iniziò a bruciarsi, annerirsi e sfrigolare. L’aria diventò irrespirabile. L’odore di carne bruciata si unì con quello precendente di cenere. Fu come infilare la testa in una sacchetto pieno carne marcia e mozziconi di sigarette. Una morsa nauseabonda afferrò il mio stomaco, come la mano di un titano melmoso. Rischiai di vomitare. Portai immediatamente una mano al volto, tappandomi le narici. Le urla dell’uomo continuavano senza sosta. Non ci volle molto prima che si insinuassero all’interno della mia testa. Sentivo i pensieri lacerarsi uno ad uno. Non c’era spazio per altro. Solo quel grido straziato. Avrei voluto tapparmi le orecchie, ma in quel caso avrei dovuto rassegnarmi a respirare quell’odore venefico. Decisi che era meglio ascoltare. La fiamma ossidrica scorreva lenta, molto lenta, passando ad un nuovo punto solo quando il precedente era stato completamente disintegrato. La vittima guardò verso di me. Fissava il suo sguardo nel mio, cercando aiuto o forza o semplicemente qualcuno che potesse essere testimone del dolore che stava provando. Credo che non scorderò mai quello sguardo. Tutte le infinite sfumature delle peggiori emozioni umane, racchiuse in due semplici pupille azzurre. Quando l’intero procedimento giunse al termine, la schiena era inguardabile. Le ferite cauterizzate percorrevano per intero la spina dorsale e le costole, formando un macabro tatuaggio. Due delle figure impugnarono un martello e con un colpo secco frantumarono l’osso del collo e il coccige. Gli occhi dell’uomo si spensero. L’azzurro diventò grigio. Infilarono le mani nella ferita ed estrassero l’ossatura della schiena. Il sangue colava dalle ossa, rivelando il loro color avorio, sulle mani delle quattro figure. Le osservano sorridenti. Sorridenti e famelici. Gettarono le ossa nella piccola cassa e diedero fuoco. Lasciarono bruciare per alcuni minuti poi, con l’aiuto dei loro camici, spensero le fiamme. Estrassero le ossa dal contenitore e si sedettero accanto al registratore. Riuscì a vedere i loro denti, illuminati dalla luce al neon. Denti aguzzi, giallognoli e marci. Denti di bestia. Iniziarono a masticare le ossa come fossero grissini, ascoltando le urla della vittima come sottofondo. Divorarono il loro pasto in pochi istanti e si alzarono.
Il registratore si spense. Le figure si guardarono intorno spiazzate. Dalla pareti carbonizzate uscirono teste infuocate che divorarono le quattro figure. Le loro fauci strappavano la carne dai corpi e la riducevano in cenere. Finirono il massacro e cominciarono a ridere. Fu una risata folle, come quella delle iene. Dalle loro mascelle fuoriscivano sbuffi di cenere. Risero per poco. Le ceneri diedero vita creatura dall’aspetto indefinito e spettrale, che in pochi attimi inghiottì le quattre teste infuocate. Emise un verso mai udito prima, un misto tra il ruggito di un leone e il gracchiare di un corvo, dopodiché il suo corpo etereo iniziò ad emanare fiamme oscure. Tornò ad essere cenere e dalla cenere rinacquero le quattro figure iniziali.
Poi tutto scomparve e l’uscita apparve davanti a me.
In quel momento la mia mente si spezzò. Le urla straziate, il rumore sordo delle ossa che si sbriciolavano sotto i denti e quegli occhi. Azzurri e colmi di emozioni prima, grigi e privi di vita dopo. Le quattre figure che divoravano e a loro volta venivano divorate. Le ceneri dei loro corpi che si tramutano in un nuovo essere che uccide il loro assassino. Il verso inudito, la creatura che torna cenere e la cenere che torna ad essere le quattro figure. Una parte di me iniziò ad abbandonare ogni logica accettando la Torre come un Caos inspiegabile, mentre un'altra parte di me continuava a voler trovare una soluzione razionale. Rielaborai le mie ipotesi, tornando all’idea che la Torre fosse viva e senziente. Forse la Torre si stava prendendo gioco di me, inserendo in ogni stanza un indizio reale e rendendo tutto il resto confuso solo per sviarmi da quella che era la soluzione.
E se invece una soluzione davvero non esisteva?
Se fosse stata solo l’ancora di salvezza immaginaria di una mente in procinto di cedere?
La sentenza spettava alla stanza numero 6. Poteva aiutarmi a tornare sulla via della ragione o gettarmi definitivamente nel vortice della Follia.
Sei. Ancora quel numero.
Iniziai a ridere.
Una risata che ricordava molto quella delle iene…
Fu proprio dopo appena prima di entrare nella stanza numero 5 che il Caos iniziò a insidarsi nella mia mente. Avevo migliaia di dubbi in testa e lo spazio per la paura era sempre meno. Cose il cui solo pensiero, fino al giorno prima, mi avrebbe disgustato, in quel momento venivano accettate senza troppi sforzi. Mi importava soltanto di una cosa. Andare avanti. Scoprire il meccanismo di quella Torre, il suo funzionamento, la sua storia. Era stata creata? Era nata dal nulla? E a quale scopo? Cosa aveva a che fare con mio nonno? E con me?
Se vi elencassi tutte le domande che in quel momento mi ronzavano in testa probabilmente non mi basterebbero due o tre diari. Che strana cosa che è la mente. Un momento vuole scappare e poi basta una cosa, una semplice cosa che la incuriosisce, che non comprende, e subito sente il bisogno di andare a fondo in quella cosa. Vuole capirla. Deve capirla. Perché ciò che non conosciamo a volte spaventa, ma molte volte attira. Chi non ha mai pensato di entrare in una porta dove c’era affisso un cartello che lo vietava? Chi non ha mai smontato qualcosa solo per vedere cosa ci fosse all’interno?
Quest’ultimo era il mio caso. Io ero all’interno della Torre, ma mi sentivo come sulla punta di un iceberg. E io volevo scoprire cosa si nascondesse al di sotto. La stanza numero 5 non mi aiutò a capirlo. Andò contro le mie previsioni.
Per cominciare l’interno fu totalmente diverso. Pareti, pavimenti e l’arredamento, composto da una solitaria barella, era completamente carbonizzato. L’aria era irrespirabile, come se l’incendio che aveva bruciato ogni cosa si fosse appena estinto. Tuttavia non c’erano tracce di fumo. Dalla porta in fondo alla stanza entrarono quattro figure che reggevano in braccio una quinta persona. Quest’ultima si dimenava come un pazzo. Gridava, cercava di scalciare e divincolarsi, piangeva.
Una gabbia infuocata scese dal soffitto imprigionandomi per impedirmi di interferire con quanto sarebbe avvenuto dopo. Fu una reminiscenza, come nella prima stanza, diversamente da quanto avevo dedotto. Una nuova domanda nacque nel mio cervello. Perché imprigionarmi? Non mi sarebbe stato comunque possibile modificare il corso di eventi già avvenuti. Non mi era nemmeno stato possibile influire sull’uomo nella stanza numero 3. O meglio, mi era stato possibile ucciderlo, ma appena lasciai la stanza lui tornò in vita e tutto ricominciò. Quindi perché impedirmi di agire? Un'altra domanda senza risposta.
Dopo che le quattro figure ebbero assicurato l’ostaggio alla barella, la voce metallica parlò. Una nuova lingua. Non riconobbi alcuna parola, ma dalla pronuncia sembrava una lingua balcanica. Tuttavia, non ho alcuna certezza di questo.
Lo spettacolo iniziò. L’uomo era legato a pancia in giù. Una delle quattro figure prese un paio di forbici e tagliò la maglietta in metà, scoprendo la schiena della povera vittima. La seconda figura si recò in un angolo della stanza. Era in penombra e fino ad allora non avevo nemmeno notato la piccola cassa che la persona aprì. Prese un registratore e lo posizionò a pochi centimetri dal volto dell’uomo legato. La terza figura estrasse dalla tasca un pennarello. La mano sinistra iniziò a tastare la schiena della vittima e a seguire delle linee precise. Ero abbastanza vicino per poter vedere ogni cosa. Poco dopo la mano destra iniziò a disegnare. In quel momento tutto ebbe senso. Con la sinistra aveva cercato e trovato la posizione esatta delle vertebre e delle costole e ora con la destra le stava disegnando sulla pelle. Quando finì il suo lavoro. La quarta figura si recò alla cassa e ne tirò una fiamma ossidrica. Si avvicinò all’ostaggio e fece un cenno con la testa. Il tipo che aveva posizionato il registratore premette il pulsante rosso. Il nastro iniziò a girare emettendo un rumore sommesso.
Quello fu l’inizio di tutto.
La quarta figura iniziò a ripassare il disegno con la fiamma ossidrica, come se stesse effettuando un tatuaggio. L’uomo legato iniziò a gridare. Fu un suono impressionante. Legioni e legioni di anime infuriate che urlano mentre vengono incenerite dalla luce. Mai, in vita mia, avrei potuto anche solo immaginare che una gola umana potesse riprodurre un tale suono. La pelle iniziò a bruciarsi, annerirsi e sfrigolare. L’aria diventò irrespirabile. L’odore di carne bruciata si unì con quello precendente di cenere. Fu come infilare la testa in una sacchetto pieno carne marcia e mozziconi di sigarette. Una morsa nauseabonda afferrò il mio stomaco, come la mano di un titano melmoso. Rischiai di vomitare. Portai immediatamente una mano al volto, tappandomi le narici. Le urla dell’uomo continuavano senza sosta. Non ci volle molto prima che si insinuassero all’interno della mia testa. Sentivo i pensieri lacerarsi uno ad uno. Non c’era spazio per altro. Solo quel grido straziato. Avrei voluto tapparmi le orecchie, ma in quel caso avrei dovuto rassegnarmi a respirare quell’odore venefico. Decisi che era meglio ascoltare. La fiamma ossidrica scorreva lenta, molto lenta, passando ad un nuovo punto solo quando il precedente era stato completamente disintegrato. La vittima guardò verso di me. Fissava il suo sguardo nel mio, cercando aiuto o forza o semplicemente qualcuno che potesse essere testimone del dolore che stava provando. Credo che non scorderò mai quello sguardo. Tutte le infinite sfumature delle peggiori emozioni umane, racchiuse in due semplici pupille azzurre. Quando l’intero procedimento giunse al termine, la schiena era inguardabile. Le ferite cauterizzate percorrevano per intero la spina dorsale e le costole, formando un macabro tatuaggio. Due delle figure impugnarono un martello e con un colpo secco frantumarono l’osso del collo e il coccige. Gli occhi dell’uomo si spensero. L’azzurro diventò grigio. Infilarono le mani nella ferita ed estrassero l’ossatura della schiena. Il sangue colava dalle ossa, rivelando il loro color avorio, sulle mani delle quattro figure. Le osservano sorridenti. Sorridenti e famelici. Gettarono le ossa nella piccola cassa e diedero fuoco. Lasciarono bruciare per alcuni minuti poi, con l’aiuto dei loro camici, spensero le fiamme. Estrassero le ossa dal contenitore e si sedettero accanto al registratore. Riuscì a vedere i loro denti, illuminati dalla luce al neon. Denti aguzzi, giallognoli e marci. Denti di bestia. Iniziarono a masticare le ossa come fossero grissini, ascoltando le urla della vittima come sottofondo. Divorarono il loro pasto in pochi istanti e si alzarono.
Il registratore si spense. Le figure si guardarono intorno spiazzate. Dalla pareti carbonizzate uscirono teste infuocate che divorarono le quattro figure. Le loro fauci strappavano la carne dai corpi e la riducevano in cenere. Finirono il massacro e cominciarono a ridere. Fu una risata folle, come quella delle iene. Dalle loro mascelle fuoriscivano sbuffi di cenere. Risero per poco. Le ceneri diedero vita creatura dall’aspetto indefinito e spettrale, che in pochi attimi inghiottì le quattre teste infuocate. Emise un verso mai udito prima, un misto tra il ruggito di un leone e il gracchiare di un corvo, dopodiché il suo corpo etereo iniziò ad emanare fiamme oscure. Tornò ad essere cenere e dalla cenere rinacquero le quattro figure iniziali.
Poi tutto scomparve e l’uscita apparve davanti a me.
In quel momento la mia mente si spezzò. Le urla straziate, il rumore sordo delle ossa che si sbriciolavano sotto i denti e quegli occhi. Azzurri e colmi di emozioni prima, grigi e privi di vita dopo. Le quattre figure che divoravano e a loro volta venivano divorate. Le ceneri dei loro corpi che si tramutano in un nuovo essere che uccide il loro assassino. Il verso inudito, la creatura che torna cenere e la cenere che torna ad essere le quattro figure. Una parte di me iniziò ad abbandonare ogni logica accettando la Torre come un Caos inspiegabile, mentre un'altra parte di me continuava a voler trovare una soluzione razionale. Rielaborai le mie ipotesi, tornando all’idea che la Torre fosse viva e senziente. Forse la Torre si stava prendendo gioco di me, inserendo in ogni stanza un indizio reale e rendendo tutto il resto confuso solo per sviarmi da quella che era la soluzione.
E se invece una soluzione davvero non esisteva?
Se fosse stata solo l’ancora di salvezza immaginaria di una mente in procinto di cedere?
La sentenza spettava alla stanza numero 6. Poteva aiutarmi a tornare sulla via della ragione o gettarmi definitivamente nel vortice della Follia.
Sei. Ancora quel numero.
Iniziai a ridere.
Una risata che ricordava molto quella delle iene…