Stanza #6
Varcai la soglia della stanza numero cinque. Normale. C’era la solita impalcatura rivestita di corpi e la solita scala. Nulla che ricordasse quello che avevo visto dopo la stanza numero quattro. Dentro di me percipivo un irrefrenabile voglia di andare a fondo nella questione. Mi arrampicai sulla scala. Il ferro arrugginito era freddo e viscido, come carne tolta dal frigofero. Non ci diedi peso, d'altronde non era importante. Arrivai davanti alla sesta soglia. Sulla porta era incisa una donna e nel suo ventre c’era un orologio. Entrambe le lancette ferrose erano bloccate sul sei. Sei e mezza. Sommando le ore ai minuti e dividendo per la stanza sempre sei. Tuttavia fino ad ora era l’unica cosa che accomunava tutte le stanze. Possibile non ci fosse altro? Possibile che quel sei fosse semplicemente una stupida coincidenza matematica senza nessun altro significato?
Possibile. Tuttavia la situazione non mi convinceva. Prima di varcare la porta della Vergine decisi di ragionare un po’ su quanto era successo fino ad ora. Fino ad allora avevo visitato cinque stanze. Oltre al numero sei cosa poteva accumunarle tutte? Sicuramente il fatto che nessuna prometteva nulla di buono, ma altrettanto certamente quella non era una soluzione. La risposta era nulla. Nulla accomunava tutte le stanze a parte il numero sei. Provai a ragionare per altre via. Fino ad ora solo due stanze avevano presentato un'altra cosa in comune. La uno e la cinque. Nella prima quell’essere mostruoso prima di svanire si era dato fuoco. Nella quinta era successa la stessa cosa. Indizio o coincidenza? Sherlock Holmes diceva che due coincidenze fanno un indizio.
Decisi di tenere a mente il fuoco. Con la mente tornai alle stanze due,tre e quattro. C’era qualcos’altro che le accomunava oltre al sei? All’interno della seconda avevo visto attraverso il sangue di due bambini quello che gli era accaduto. Il padre li aveva brutalmente uccisi. Nella numero tre avevo incontrato l’uomo che voleva morire, distrutto dai rimpianti. Mi aveva obbligato ad ucciderlo. Nella quarta stanza invece avevo visto un uomo uccidere la figlia e venire a sua volta ucciso dalla moglie. In qualche modo era una cosa in comune con la seconda. Entrambi i padri uccidevano i propri figli. Nel primo caso la moglie stava zitta e accettava (se così si può dire) quel gesto, nell’altro lei si vendicava su di lui. Uno e cinque. Due e quattro. Ancora sei. Forse le stanze era accoppiate in qualche modo. Probabilmente una delle stanze successive si accomunava con la numero tre. Se la teoria del sei era esatta, la tre avrebbe dovuto avere qualcosa in comune con la nove, la cui somma avrebbe dato un multiplo di sei. Mi presi ancora un momento per riflettere. Questa storia del sei sempre più spazio nella mia mente. Stava diventando una paranoia. Decisi di calcolare le varie combinazioni possibili.
Uno e cinque.
Due e quattro.
Tre e nove.
Sei e dodici.
Sette e undici.
Otto e dieci.
Ognuna di queste combinazioni dava sei o un multiplo di sei. Per avere la conferma c’era solo una cosa da fare. Proseguire e raggiungere la stanza numero 9.
La prova del nove, pensai e un sorriso mi si stampò sul volto.
Avevo riflettuto abbastanza. Era tempo di entrare, afferai la maniglia e varcai la soglia.
La stanza numero sei era una stanza lussuosissima. La pareti erano coperte da elegantissimi mobile in legno pregiato. Al centro c’era un tavolo in oro e diamanti, circondato da sedie fabbricate con gli stessi materiali. Un grosso lampadario in pietre preziose illuminava a giorno. A capotavola c’era un trono, sul quale posava le sue enormi chiappe un uomo evidentemente obeso. La voce metallica ruppe quel silenzio. Per l’ennesima volta la lingua fu diversa. Cinese o forse coreano.
Quando la voce cessò, l’uomo sul trono scoppiò in mille pezzi. Lo sfrenato lusso della stanza fu innondato da sangue, grasso e brandelli di carne. Lo stomaco dell’obeso schizzò verso di me ad una velocità tale che mi fu impossibile evitarlo. Mi colpì in volto e poi si avvinghiò ad esso. Cazzo quello stomaco era vivo. Mi sentivo soffocare da quel tessuto molliccio e viscido. Percepì litri di vomito salirmi per la gola, li ricacciai giù a forza perché mi sarebbe stato impossibile espellerli. Stavo per perdere i sensi quando una voce entrò nella mia testa. Comprensibile anche se appartenente ad una persona a me sconosciuta.
Vedrai ciò che è successo.
Fu in quel momento che persi i sensi e il “filmato mentale” ebbe inizio.
Il trono era occupato dall’uomo obeso, davanti a se aveva un piatto colmo di pollo fritto. Sbatteva nervosamente i pugni sul tavolo e gridava. Porta qui le tue chiappe secche muso giallo. Era un tono odioso, carico di disprezzo. Da una porticina laterale entrò un uomo cinese. Aveva un fisico così esile che sembrava quello di un ragazzino di dodici anni, ma il volto ne dimostrava almeno il triplo. Aveva uno sguardo colmo di frustrazione. Avanzò fino ad arrivare accanto all’uomo e chinò la testa.
L’uomo addentò una coscia di pollo, diede una masticata e poi con la bocca piena di poltiglia parlò.
Il pavimento non è pulito.Guarda quei granelli di polvere così schifosi. Sbrigati e lavora servo del cazzo. Ti pago per farlo ed esigo che lo tu lo faccia.
Il cinese obbedì. Entrò in uno stanzino, prese uno straccio e del detersivo e iniziò a pulire per terra. Gattonava avanti e indietro per la stanza strofinando con forza. Poco dopo il pavimento di cristallo riflettava la luce sulla sua superficie immacolata.
Il padrone obeso osservò l’ottimo lavoro per qualche istante.
Bravo muso giallo. Ti sei meritato la cena. Tieni. Prese un pezzo di pollo dal piatto e lo gettò in terra.
E mi raccomando dopo cena pulisci dove hai sporcato. Il cinese alzò la testa, incrociando gli occhi dell’uomo. Quel gesto lo fece andare su tutte le furie.
Cazzo guardi schifoso. Devo ricordarti che è grazie ai miei soldi che tu puoi mandare a scuola quegli ignoranti dei tuoi figli?Non osare mai più guardarmi in quel modo o, quanto è vero che Dio esiste, ti farò vedere cosa vuol dire farmi infuriare.
Prese il piatto e lanciò il contenuto in giro per la stanza. Bocconi imbevuti di olio volarono nell’aria sbattendo contro pareti e mobili prima di finire in terra. Lanciò il bicchiere di vino contro il cinese ferendolo al volto.
Ora muoviti a prepararmi dell’altro pollo, portarmi altro vino e a pulire tutto. E sbrigati servo di merda.
Il cinese abbassò la testa e si recò in cucina. La frustrazione nei suoi occhi era mutata in collera incontrollabile. Non riusciva più a sopportare gli abusi di quel grassone maniaco dell’igiene. Erano mesi e mesi che tutto questo continuava ed era ora che finisse. Prese del pollo e lo mise in una padella colma di olio bollente. Rabboccò un bicchiere di vino e poi lo correse con un potente calmante che teneva sempre con se da quanto soffrivo di attacchi di panico. Lo sfrigolare del pollo faceva da contorno ai suoi pensieri. Pensieri malvagi, letali dalla punta alle radici. Pensieri nati dall’odio più puro.
Quando il tutto fu pronto, tornò dal padrone. Lo servì con umiltà, posando con delicatezza pollo e vino sul tavolo. Gli domando scusa per quanto era successo e gli augurò un buon appetito. L’uomo mangiò in fretta e furia, come uno che è appena uscito vivo da una foresta dopo aver passato una settimana a nutrirsi di insetti. Bevve il vino tutto d’un fiato e poco dopo crollò con la faccia sul tavolo.
Il cinese corse a prendere delle corde. Legò i polsi e le caviglie dell’uomo insieme facendo passare la corda dietro alle due gambe frontali del massiccio tavolo in oro. Lo imbavagliò e poi sedette accanto a lui. Ci volle un po’ prima che l’uomo tornasse dal mondo dei sogni, ma la vendetta è un piatto che va gustato freddo.
Quando l’uomo si riprese e si accorse di essere legato, una scossa di incidibile terrore gli penetrò nelle vene ostruite dal grasso. Il cinese era seduto di fianco a lui. Tentò di urlare attraverso il bavaglio ma ne uscirono solo suoni confusi.
Bentornato signore. Dormito bene?
Il grassone continuò ad emettere versi e comincò a dimenersi. Il terrore era sempre più presente nella sua mente.
Signore la prego non parli. Vorrei solo illustrarle i fatti. Io cinese di merda ho capito che lei ha ragione. La sporcizia è una brutta cosa. Va estirpata. E io lo farò.Con tutte quelle schifezze che mangia chissà quanto è sporco il suo stomaco. Ma non si preoccupi ora glielò strapperò e luciderò fino a farlo splendere. Proprio come piace a lei signore. Perché a lei piace la roba splendente, vero? Sentirà male signore, ma durerà poco non si preoccupì.
L’uomo tentò di dimenarsi ma fu tutto invano. Il cinese prese un coltello dalla cucina e con un colpo secco aprì il ventre del suo padrone-prigioniero. La rabbia che fino a prima splendeva nella pupille era mutata in macabra follia. Strappò lo stomaco dal corpo dell’uomo e cominciò a sfregarlo con uno straccio. Il sangue sgorgò dalla ferita, riversandosi sul pavimento come un fiume in piena.
Ha visto signore? Sto lavorando, sto pulendo, proprio come vuole lei. Presto splenderà, proprio come piace a lei.
Continuò a strofinare, insensibile al contatto con quell’ammasso viscido di carne. La collera, la follia e tutte le altre emozioni fungevano da scudo nella sua mente. Strofinava e strofinava mentre l’uomo perdeva litri e litri di sangue dal ventre aperto. Pochi minuti dopo l’uomo morì dissanguato e io mi ritrovai sveglio.
Vomitai e quando mi ripresi raggiunsi la nuova porta che era apparsa di fronte a me.
La stanza 7 attendeva.